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Recensione mostra Gregory Crewdson
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Gregory Crewdson rappresenta, secondo me, il punto più alto della fotografia contemporanea, quella per intenderci che fa parte del sistema arte contemporanea, che viene esposta nelle gallerie e venduta nelle aste insieme e con pari dignità  della pittura e della scultura.
Le opere di Crewdson sono delle vere e proprie “Mise en scène”, sono dal punto di vista comunicativo e tecnico delle opere che hanno pochi eguali. Dal punto di vista strettamente tecnico le sue foto ci appaiono simili a fotogrammi estrapolati da qualche film giallo, da qualche pellicola di David Lynch o Spielberg. Le atmosfere inquietanti vengono rese in modo magistrale dal sapiente uso delle luci fatto da questo autore. Crewdson per realizzare queste opere si avvale di una vera e propria troupe cinematografica, fatta di decine e decine di figure professionali: elettricisti, macchinisti, art buyer, carpentieri, ecc. Sia negli interni che negli esterni le sue foto, ricche di dettagli e spunti di riflessione, sono sapientemente disegnate con luci d’effetto che fanno risaltare la tensione narrativa della foto. Di fronte alle immagini di Crewdson ci si ferma a pensare a quale accadimento, a quale storia ruota dietro alla singola immagine. L’inquietitudine sprigionata dalle sue opere ci cattura e ci inchioda nello sforzo di ricostruire l’accaduto, ciò che si è appena compiuto sulla scena. Molte volte di fronte al lavoro di acclamati fotografi, le cui foto vengono vendute nelle aste a prezzi astronomici, mi sono detto, citando il celebre libro del critico d’arte contemporanea Francesco Bonani: “in fin dei conti avrei potuto farlo anch’io”. Ho pensato che i traguardi raggiunti da certi autori, da certi artisti che per le loro ricerche si servono del mezzo fotografico, sono dovuti a opportunità , a eventi fortuiti o cercati con accanimento. L’aver incontrato sulla loro strada un gallerista o un critico che hanno creduto nel loro lavoro e hanno saputo imporlo al mercato, al sistema arte contemporanea. Nel caso di Gregory Crewdson questo pensiero non mi ha sfiorato. Per una serie di motivi, pochissimi fotografi potrebbero fare ciò che lui realizza ormai da diversi anni. La complessità  del suo lavoro, delle sue opere, è tale che ci riconcilia, in un certo senso, con il valore che il mercato dell’arte da a queste opere.
L’allestimento della mostra di Gregory Crewdson al Palazzo delle Esposizioni ovviamente è di gran livello. Sono esposte opere che vanno dagli anni 80 fino al 2005, molte di grande formato e notevole impatto visivo. La mostra terminerà  il 2 marzo, vi sono quindi ancora pochi giorni per vederla. Nella libreria all’interno del Palazzo delle esposizioni è in vendita un bellissimo catalogo dell’opera di Crewdson che vale la pena di acquistare e sfogliare con calma.

alcune opere di Crewdson

Inviato: 25/2/2008 12:25
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Re: Recensione mostra Gregory Crewdson
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Mi permetto di dissentire, in parte, da quanto sostieni. Non considero Crewdson, seppure di indubbio valore, il punto pi༠alto della fotografia contemporanea. Non penso tra l'altro che il metro di giudizio riguardo la validità  artistica di un'opera sia dato dalla complessità  realizzativa che ne è alla base. Tanto di cappello alla perizia tecnica ed al grande dispiegamento di mezzi necessari alla realizzazione delle opere di Crewdson, ma ricordo che se parliamo di arte moderna/contemporanea, il fulcro essenziale, il cuore di tali espressioni artistiche raramente è incentrato sui mezzi, ma vice versa sulle idee e sul percorso creativo dell'autore. Tanto da fare definire sovente il manufatto finale quasi secondario rispetto alla sua genesi. Questo per dire che tolto l'impianto tecnico necessario alla realizzazione delle fotografie di Crewdson, il messaggio artistico, il percorso concettuale alla base, seppur solido e ampiamente valido, non mi sembra tale da farlo considerare il pi༠grande fotografo contemporaneo.

Marco

Inviato: 25/2/2008 13:25
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Re: Recensione mostra Gregory Crewdson
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Sono assolutamente d'accordo con Marco.

Sebbene apprezzi l'opera di Crewdson, non la considero certamente il punto più alto dell'arte fotografica contemporanea.

Qui una vecchia discussione su questo autore.


Andrea

Inviato: 25/2/2008 13:33
sono moderno, non contemporaneo
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Re: Recensione mostra Gregory Crewdson
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Naturalmente nel giudicare l’opera di Crewdson non mi sono fermato all’aspetto tecnico. La cosa che mi impressiona di più delle sue foto è l’impatto emozionale che esse trasmettono. L’intervento di Marco mi permette però di analizzare un aspetto dell’arte contemporanea che mi sta molto a cuore. Quando e da chi viene “certificato” che un disegno, una scultura o una fotografia sono opere d’arte? Quando il sistema arte contemporanea spalanca le braccia ad un nuovo talento ? Marco sostiene e in parte lo condivido, che il manufatto finale è quasi secondario alla sua genesi. In questo modo però non vi è un modo oggettivo di valutare un’opera. Una fotografia diventa opera d’arte solo quando un critico o un gallerista decidono che puà entrare nel sistema arte contemporanea e generare profitti per l’autore e il gallerista. Quando dico che le foto realizzate da Crewdson non potrebbero essere fatte da chiunque è perché ritengo che la loro realizzazione è in qualche modo riservata ad una elite che è in grado di realizzare dei progetti così complessi. Prendiamo ad esempio una celebre opera di Andreas Gursky: 99 cents. Il 7 febbraio 2007 da Sotheby's a Londra è stata aggiudicata per 3.346.456$ al doppio della base d'asta. Si tratta di un dittico, in 6 edizioni, di dimensioni cm 206 x 341. Non viene forse voglia di dire: “la potevo fare anch’io” ? Anzi forse nei nostri cassetti c’è qualcosa di molto simile o che riteniamo più meritevole. E allora ? Perché anche se stampassimo la nostra foto in quelle dimensioni nessuno si sognerebbe di spendere quelle cifre enormi? La prima cosa che mi viene in mente, é fare mio il discorso di Marco sul percorso artistico dell’autore. Ma chi ha decretato la bontà  del percorso artistico ? Un critico ? Dei galleristi ? I collezionisti ? I grandi collezionisti, quelli disposti a sborsare certe cifre, secondo me, lo fanno solo per autori già  affermati. Non sono loro che fanno emergere nuovi autori. Rimangono perciò i critici e i galleristi. Non saremmo allora di fronte ad un mercato in qualche modo manipolato ? Cercando di dare dei parametri oggettivi per definire un’opera d’arte, non dovremmo prendere in considerazione anche la difficoltà  realizzativa che, di fatto, non permette a tutti di poter fare quel manufatto ? Chiaramente non puà essere l’unico parametro, ma secondo me va considerato. Una volta aveva un ruolo fondamentale l’abilità  dell’artista, il suo saper rendere nei minimi particolari la realtà . O si era capaci di farlo o no. Dopo la nascita dell’impressionismo tutto è cambiato. La pittura figurativa è stata sorpassata da altre forme d’arte e valutare un’opera è divenuto più complesso, fino al “ready made” e ai nostri giorni in cui a volte si “fabbricano” a tavolino gli artisti che dovranno avere un ruolo di primo piano nel sistema arte, sempre più affamato di quotazioni da capogiro e popolato di nuovi ricchi provenienti dai paesi emergenti, pronti a spendere una fortuna per avere l’opera del grande artista di turno, creato per l’occorrenza.

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99 cent - Andreas Gursky


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Inviato: 25/2/2008 15:20
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Re: Recensione mostra Gregory Crewdson
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Da chi viene certificato che un’opera dell’ingegno umano è arte? Chi decide? Non posso rispondere, non ne sono capace e non ne ho le competenze. Non vi è un modo oggettivo per valutare l’opera, partendo dal presupposto che l’opera stessa intesa come risultato materiale non è tanto importante quanto il percorso artistico/creativo che ne è la genesi. Rispetto all’arte classica, indubbiamente molto è cambiato, nel modo di approcciarsi ad essa e nel modo di giudicare. Se in meglio o in peggio non saprei. Di diverso certamente vi è la necessità  di conoscere le intenzioni dell’autore e in particolare il suo percorso e, in alcuni casi, tutto l’impianto teorico che è alla base del loro operare. Senza ombra di dubbio ci si trova spiazzati, se prima come dire la perizia tecnica aveva un suo peso indiscutibile e se l’opera d’arte sotto i nostri occhi era sé stessa dimostrazione delle capacità  e dell’arte dell’autore, ora questo caposaldo è stato annullato. Ripeto ancora: è un bene, è un male? Non sono in grado di rispondere. Certamente se vado oggi in un museo d’arte contemporanea, senza nulla conoscere di arte come è intesa e come si è sviluppata in particolare dopo la seconda guerra mondiale rimango interdetto, se non addirittura mi sento preso per i fondelli. Questo perché se giudico col metro del solo canone figurativo, estetico e della perizia tecnica………..nulla ci trovo che corrisponde ad esso. Come giudicare con tali parametri un Rotko, che dipinge strisce di colore uniformi, oppure certi esponenti dell’informale che “spacciano” per arte un’elencazione infinita di numeri su un libro? O ancora certe sculture (sculture???) legate agli anni sessanta/settanta che altro non sono se ammassi di oggetti presi dall’immondizia? E i casi sono tantissimi, alcuni veramente spiazzanti, come certi esponenti dell’informale che arrivarono a dire che bastava il pensiero dell’artista, che quella era l’arte, senza necessità  di produrre un bel niente.. Come detto se come metro di giudizio si prendono i soli canoni estetici, figurativi e artigianali………….lascio a voi il commento. Questo unicamente perché tali canoni sono inadeguati per capire e giudicare. Una considerazione viene spontanea a questo punto: anche avvalendosi di canoni diversi di giudizio, come giudicare? Come assicurarsi che in mezzo a tanta varietà  di idee, produzioni, correnti, non si finisca in fondo in fondo in un vicolo cieco? In una presa per i fondelli? Ardua sentenza, ancora una volta non sono in grado di rispondere. Tra l’altro come sottolineato nel tuo post, è vero e sacrosanto che il sistema gallerie, circuito dell’arte detta legge in tal senso. Perché tizio ha certe quotazioni? Insomma, tutto gira sempre e comunque intorno al dio denaro? Come è possibile capire se siamo di fronte ad abili speculazioni o ad un artista di indubbio valore? Sarà monotono ma ancora una volta non sono in grado di rispondere.
Concludendo? Da quanto ho scritto sembrerebbe che le nuove concezioni di arte ai giorni nostri siano molto nebulose e poco definibili…………in parte è vero, ma quanto mi sento di sostenere è che volenti o nolenti, non è l’aspetto puramente tecnico e manuale quello che conta oggi per valutare e giudicare un lavoro artistico. Se parliamo di stampe di Adams, dove la perizia tecnica dello stampatore conta ed è parte integrante e struttura stessa dell’opera, allora è giusto e corretto prenderla in considerazione. Una stampa di Adams si compone anche della perizia tecnica/artigianale dell’autore. Questo perché tale aspetto è legato a doppia mandata alla tipologia di produzione artistica di Adams. Se voglio giudicare un autore che propone una tipologia di lavoro completamente diverso come Crewdson, sia per contenuti che per percorso artistico………allora non posso permettermi di giudicare con gli stessi criteri. L’artigianalità , la perizia tecnica, la maestosità  del set, il numero di persone coinvolte non contano un bel niente. Quello che conta è il percorso, l’idea creativa, l’impatto non solo “retinico” (rubo una definizione di Duchamp) ma “mentale” dell’opera. Ecco, se io provo, con i miei strumenti limitati e le mie deboli basi a giudicare il lavoro di Crewdson, non ci trovo tutta quella genialità  e forza dirompente da farmelo definire come uno dei pi༠grandi fotografi contemporanei. Ci trovo un qualcosa di non nuovo, di riproposto……………magari in modo non altrettanto maestoso, ma comunque simile da altri autori che hanno indagato e fotografato gli aspetti del paesaggio/cultura Americano.

Marco


Inviato: 25/2/2008 16:21
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Re: Recensione mostra Gregory Crewdson

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Crewdson mi convince in alcuni progetti (Twilight, Dream House), molto meno o per niente in altri (Natural Wonder, Beneath The Roses).

Nei due che mi convincono trovo delle risonanze volutamente cinematografiche che mi riportano ad American Beauty, specialmente la scena sotto la pioggia in cui Spacey viene baciato dal vicino militarista e ultra conservatore che lo crede gay e fa l'outing (con la persona sbagliata). Le sue foto sono insomma ministorie dei vizi privati e pubbliche virtu' della suburbia americana, con il senso di disgregazione dei valori nella plastificazione del consumismo dei grandi centri commerciali. L'uso di attori famosi non e' infatti motivato se non da un suo desiderio di ricollegarsi alla cinematografia degli ultimi 15 anni.

Quello che fa Crewdson con dei set complessi e rigurgitanti di simboli e notevoli fascinazioni visive lo fa Eggleston con frammenti di immagine di una semplicita' e linearita' da far accapponare la pelle. Riconosco che 40 anni fanno una grande differenza anche dal punto di vista dell'impatto visivo, la fotografia in punta di piedi di Eggleston magari non funzionerebbe oggi dove siamo bombardati di immagini di tale violenza cromatica che se non urli piu' alto del rumore di fondo non ti sente nessuno. mi piace pensare pero' che anche oggi si puo' fare grande fotografia sussurrando e non urlando, ma magari e' solo una questione ... ahem ... generazionale.

Per il resto sono d'accordo con i vostri commenti sul mercato dell'arte. E' sempre stato cosi' pero': in certi periodi storici se non nascevi tra Roma e Firenze non avevi una chance di diventare qualcuno, giusto? Per la fotografia New York e' un magnete tremendo. Lasciamo perdere la provincia, ma se Nan Goldin avesse fatto le stesse cose a Milano o Praga o Oslo (o Boston, di dove e' originaria - mica un paesino di campagna...) non sarebbe andata da nessuna parte. Piu' speranze a Berlino o Londra, magari Barcellona o Parigi...

Questo pero' significa che il fotografo che vuole diventare qualcuno deve spostarsi nei centri di attrazione. Se non se la sente di farlo padronissimo, basta che poi non si lamenti della "mala suerte" o dei galleristi cattivoni.


Inviato: 26/2/2008 10:36
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Re: Recensione mostra Gregory Crewdson

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Faccio uno o due passi indietro, non intendendo ne' potendo affrontare l'argomento "mercato".
La mostra di Crewdson mi sembra innanzitutto da non perdere, nonostante il biglietto di ingresso non proprio popolare: e' una antologica di una certa dimensione, le opere sono ben esposte e commentate il giusto, insomma ben fatta. E con lo stesso biglietto si visitano un altro paio di mostre, di cui una sull'arte cinese contemporanea, che contiene anche opere interessanti di fotografi cinesi.

Crewdson non l'avevo mai visto "di persona", e neanche in libro: solo poche cose via web quando se ne era discusso qui.
In effetti mi era rimasta la curiosita' di capire quanto l'effetto pittorico fosse dovuto alla resa web e quanto fosse voluto e ricercato. La visione delle stampe in tutta la loro estensione mi ha confermato che l'effetto e' assai ricercato e fa parte di un processo di "virgolettatura" dell'immagine, di sottolineatura della sua artificiosita'.

Mi pare che, a parte la serie "early works", ovvero le prime opere che, per quel poco che capisco, mi sembrano rientrare in una rappresentazione dei luoghi e degli esseri che li popolano a meta' strada tra l'impatto pop di "American Surfaces" e la formalizzazione di "Uncommon places" di Shore, per il resto tutto punta all'intervento sul reale o alla sua ricostruzione arbitraria. Una sorta di contraltare dell'iperrealismo: dove li' con tecniche pittoriche si fa il verso alla fotografia, e quanto di "reale" e casuale questa tira dentro l'immagine, qui con tecniche fotografiche si realizza una messa in scena di elementi/simboli ben precisi, sui quali la visione viene guidata dalla composizione e dall'illuminazione di tipo teatrale/cinematografico.

In certi casi l'esito lo vedo sconfinante nel kitsch, come un po' tutta la serie "Natural Wonder", dove il primo piano degli elementi finto-naturali determina un'enfasi per me eccessiva, una "virgolettatura" fin troppo evidente.

Mentre deliziosa per me la serie "Hover", l'unica in bianconero, con riprese da una prospettiva rialzata (da cui il titolo) e distante/distaccata di scenari piuttosto ordinari che includono elementi di disturbo visibili, ma non cosi' evidenti o sottolineati.

Per il resto, trovo le immagini suggestive, spettacolari, molto belle in certi casi, come la bellissima "Untitled" (si chiamano quasi tutte cosi', mannaggia, ma come faranno i compratori ?) con l'interno di una casa allagata e una donna che galleggia, presumibilmente annegata. Che la metterei proprio nel mio salotto, se me la regalassero..

Inviato: 26/2/2008 19:07
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Re: Recensione mostra Gregory Crewdson
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galago ha scritto:
... la bellissima "Untitled" (si chiamano quasi tutte cosi', mannaggia, ma come faranno i compratori ?) con l'interno di una casa allagata e una donna che galleggia, presumibilmente annegata. Che la metterei proprio nel mio salotto, se me la regalassero..


...giusto, anche a me piacerebbe avere una donna annegata sotto gli occhi, tutte le sere, mentre ceno...sognando fosse la mia ex

Inviato: 26/2/2008 19:34
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Re: Recensione mostra Gregory Crewdson

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non avrà certo la competenza di un critico o di un gallerista ma è mia personale opinione che se da un lato le opere di questo "artista" sono narranti dall'altro si distaccano dal mio modo di vedere la fotografia. Senza voler entrare o riaprire un discorso a troppo ampio respiro il creare artificialmente una scena non è fotografare. la fotografia (sicuramente sbaglierà) è la visione di una realtà  reale ,scusate il gioco di parole volontariamente provocatorio, e non la messa in scena di una realtà  che non esiste per la rappresentazione dei limiti di una realtà  quotidiana.

Sicuramente ho una visione ristretta ma io la vedo così.

Dettociò mi piacciono, e molto, le opere "senza nome" specie quella del supermercato con l'auto abbandonata a sx o quella della donna che galleggia od ancora quella con l'uomo che ha un braccio in uno scarico del WC....

A proposito che cos'è la stampa C...C1 ?! Se non sbaglio è il nome del tipo di stampa riportato a tergo alle immagini...

Ciao Fabio

Inviato: 27/2/2008 13:09
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Re: Recensione mostra Gregory Crewdson
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Citazione:

Met5 ha scritto:
Senza voler entrare o riaprire un discorso a troppo ampio respiro il creare artificialmente una scena non è fotografare. la fotografia (sicuramente sbaglierà) è la visione di una realtà  reale ,scusate il gioco di parole volontariamente provocatorio, e non la messa in scena di una realtà  che non esiste


Correndo il rischio di entrare in un discorso ad ampio respiro mi sento di fare alcune considerazioni circa quella che definisci "realtà  reale". Mi chiedo cosa sia questa realtà  reale. Perchè penso sia ormai assodato che la fotografia non è uno specchio fedele della realtà . E anche senza voler parlare di fotografia mi chiedo quale possa essere la vera realtà  reale...........ma non scomodiamo discorsi filosofici. Diciamo allora che nel momento in cui si impugna una fotocamera difficilmente è possibile asserire di voler cogliere la realtà , ma sempre e comunque una sua interpretazione, una sua porzione, incompleta e soggettiva. Per questo motivo reputo che la costruzione di un set non significa non fare fotografia, ma semplicemente fare fotografia partendo da presupposti diversi, costruendo ed interpretando a monte e poi a valle, mentre (forse) nella fotografia definita "reale" l'interpretazione è solo a valle............ma non ne sono poi tanto sicuro, considerando che spesso vi è anche una interpretazione a monte pure in questo caso, che risiede prima di fotografare nella nostra testa.

Marco

Inviato: 27/2/2008 13:22
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Re: Recensione mostra Gregory Crewdson
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Ciao Fabio. Stando a quanto affermi se fotografassi, ad esempio, una natura morta predisposta, non si tratterebbe di fotografia.
O se mettessi in posa qualcuno per un ritratto, non sarebbe pur sempre un set, seppur minimo? Quindi, secondo quanto dici, non si tratterebbe di fotografia.
Scusa ma non capisco la tua concezione di "realtà  reale", mi sfugge proprio.
Saluti.

Giorgio

Inviato: 27/2/2008 15:08
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Re: Recensione mostra Gregory Crewdson
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Altro spunto di riflessione...un pensiero, una emozione, non sono forse dei fatti tanto reali, di vita reale "vera", tanto quanto un gesto, una azione, un oggetto...ed allora perchè non volerli e non poterli fotografare così come si vuole e si puà fotografare un edificio, ripeto, anche una emozione per me fa parte della "realtà  reale" (e veramente potremmo scrivere un libro sul concetto di realtà , che poi così "reale" non lo è mica ), ed una delle strade possibili, non è l'unica e per me nemmeno la più interessante, però una delle strade possibili è quella dell'allegoria, della messa in scena...





Inviato: 28/2/2008 8:59
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Re: Recensione mostra Gregory Crewdson

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La città , il paese nel quale abiti, i vestiti che indossi, la macchina che usi, la tazza del cesso dove ti siedi, il trucco della tua donna, o il taglio di capelli del tuo uomo, le parole che usi, il tavolo dove appoggi i fogli, il tuo computer, la tua biro, le tue mutande, gli occhiali, la macchina fotografica, lo zainetto da scuola di tuo figlio, lo shuttle, le bombe.
20.000 anni fa, e non dico milioni, non esisteva nulla di tutto ciò, nemmeno era lontanamente pensabile la loro esistenza. Il tirannosauro rex viveva senza tutto ciò. La realtà  é qualcosa che gli uomini definiscono come tale, perchè in fondo l'hanno costruita loro, pensa solo all'elenco sopra (abbiamo un delirio di onnipotenza, é vero). E ci preoccupiamo che un mezzo inventato solo 180 anni fa, abbia a che fare con la realtà , visto che quella cosa che riprende é essa stessa una realtà  che ha solo un migliaio di anni, quando va bene, altrimenti ha anche lei qualche centinaio di anni, ma alcuni pezzi di questa realtà  addirittura sono più giovani della stessa fotografia. E che è essa stessa é il risultato di una combinazione ottico/chimica/meccanica/elettronica...Insomma fotografiamo cose inventate, realtà  inventate e perchè dovrebbero essere più reali di un set, visto che viviamo in un set, un po grandicello, ma sempre un set? beninteso, che domani potrebbe essere smontato del tutto.
Per un aborigeno doc (tra i pochi rimasti) anche la fotografia non é una realtà .
Forse il ragionare sulla fotografia, sul suo senso, sulla sua condizione di esistenza, ecc, ecc non va legato al concetto di realtà  assoluta, altrimenti ci si perde. Nell'irrealtà .
bs
marco

Inviato: 28/2/2008 12:37
La fotografia non si domina: corre da sola e l'uomo la segue in ritardo e mai come oggi.
A. Gilardi

www.mbphoto.it
www.flickr.com/photos/marcofluens

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