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Re: Purezza e meditazione in fotografia
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Mi piacerebbe pensarla semplice ma.........:

L’immagine sintetica

Genesi (1,26)
E Dio disse: "Facciamo l`uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra".

Genesi (1,27)
Dio creà l`uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creà;
maschio e femmina li creà.

E fu così la prima fotografia della storia, una copia somigliante, davvero somigliante, senza la caratteristica principe dell'originale: la perfezione.

Per quanto mi addentri nel pensiero di coloro che parlano di fotografia, invariabilmente, talentuose o mediocri menti che siano, prima o poi finiscono per abbarbicarsi a qualche riferimento deterministico di natura tecnologica. Ora se parlassero di scienza e della sua astratta implementazione in una qualche idea di tecnologia, riuscirei loro anche a perdonare questa ingenuità , ma poiché tutti rimangono inevitabilmente sedotti dalla fascinazione del particolare concreto, finiscono sempre con il ritrovarsi nel vicolo cieco di una qualche tecnica stretta, che l'imperizia nella materia finisce per farle da loro attribuire qualità  sempiterne o ontologiche, come se l'idea della fotografia intesa come fatto artistico fosse perennemente ed indissolubilmente legata al suo riferimento tecnico presente ancor prima che scientifico. Inevitabilmente la tecnologia di cui è inutile dare storia, ne basta la cronaca.... si sorpassa da sola, spinta da considerazioni di natura pratica e concreta, finendo per svilire anche le parole gentili delle menti più fini, che abituate ad essere soggiogate solo a se stesse si ritrovano perse in un mondo inevitabilmente sociale come quello della tecnica. Ecco perché quando tutti i teoremi proposti sulla fotografia, vengono a cadere in virtù di una sola nuova tecnica, mi sento di dover prendere congedo da questa parola amata troppo ed abusata ancor di più, sventrata e violentata da troppi amanti di parole fine a se stesse; lei che un fine ben preciso l'aveva dal giorno assolato della sua nascita. Prendo congedo dalla parola fotografia che d'ora in poi, per me, sarà  sostituita da tre termini similari eppure ben distinti, immagine digitale per intendere l'immagine nell'atto artificiale della sua codificazione numerica, l'immagine fotografica, con riferimento alla natura unica ed incontaminata del suo nesso macchinico con il reale: parole entrambe in distinzione e correlazione netta con la parola immagine di sintesi o per comodità  IMMAGINE, o ancora immagine sintetica che invece racchiude quell'idea più complessa del fare immagine, oltre le tecniche del suo farsi.
Trovato un chiarimento lessicale, mi sembra necessario evidenziare alcuni strumenti necessari a traghettarci dal dominio dell'immagine analogica, fissa od in movimento (cinema - fotografia) al mondo dell'immagine sintetica, passando di necessità , attraverso l'immagine digitale.
Il primo concetto che mi pare necessario decostruire per procedere in un'opera di chiarificazione lo troviamo ben esposto in queste righe di Burgin del 1996:
"Il sistema della fotografia si è sviluppato sulla base della prossimità  o distanza rispetto ai poli dell'oggettività  e della soggettività , in un continuum che va dalla fotografia scientifica e giudiziaria, attraverso la fotografia documentaria e il fotogiornalismo, fino alla fotografia pubblicitaria e artistica. Questo continuum a sua volta si è formato in implicito riferimento ad un altro, che si stende fra l'operazione automatica e oggettiva della fotocamera, "pura tecnologia", e il gesto umano e soggettivo della pittura, "pura personalità ". Un effetto dell'avvento della fotografia digitale è stato il venir meno di questo continuum, unendo le sue estremità  un tempo antipodiche."

Questo è il tipico esempio di mistificazione del processo macchinico della fotografia, come struttura di senso incapace di alterare la realtà , o capace di una assoluta oggettività . L' esistenza di una fotografia capace di essere oltre lo sguardo, di essere oltre l'atto della visione, una sorte di testimonianza oggettiva senza testimone. Quando, recentemente a Parigi sono state esposte le fotografie di Andre Zucca, che riprendevano Parigi al tempo dell'occupazione nazista come una città  nel complesso capaci di guardare avanti e non stremata o turbata oltre ogni limite dalla presenza dell'occupante, in coro la popolazione di Parigi ha gridato alla menzogna. I parigini, come i francesi, sono cresciuti nel mito di una Francia tutta resistente, mito creato del genio politi di De Gaulle, ma assolutamente falso... la società  civile infatti appoggio in pieno la repubblica di Petain, che con i nazisti collaborà in pieno dalla prima ora, e così la gran parte della popolazione. Insomma, quando bisogna credere in una fotografia incapace di mentire, subito tutti a schierarsi dietro a questa bandiera, ma disponibili a rimanerci fino a quando la fotografia ci dice quello che vogliamo sentirci dire.... altrimenti tutti pronti ad affermare che cessa di essere testimonianza oggettiva in virtù dell'impossibilità  dell'oggettività  da parte del testimone, ovvero il fotografo.
In questo senso mi pare un clamoroso esempio di mistificazione a tutto campo, ovvero di somma di mistificazioni progressive, "L'immagine infedele", di Claudio Marra, che in un solo testo riunisce tutti i preconcetti ignoranti sulla fotografia analogica quanto digitale; insomma una vertigine dell'ovvio, del trito e del banale sulla fotografia. In tal senso mi pare interessante citarlo: "la fotografia continua a svolgere le funzioni che ha sempre svolto in passato, tra le quali quella di “esercizio della memoria”. Ma è la cosiddetta “questione del referente”, in fondo, uno dei nodi problematici ove si intrecciano, in modo complesso e delicato etica, estetica e, tra queste, la figura dell’autore. Quest’ultimo, costretto a interagire con un sistema tecnico che, essendo apparentemente fondato esclusivamente sull’automatismo e sull’oppressione dell’indicalità , parrebbe escluderne qualsiasi altra possibilità  espressiva. Ne consegue l’idea (temibile!) che la fotografia non possa mentire, come potrebbe fare invece il linguaggio; o, per lo meno, che il mezzo non sia in grado di farlo con la stessa semplicità  che connota altri ambiti culturali. Ove c’è segno, secondo la prospettiva linguistico-semiotica, emergerebbe infatti la possibilità  di un’eventuale manipolazione del senso a questo connesso. Si delineerebbe, conseguentemente, uno scenario contraddittorio, per cui la fotografia non puà mentire, quindi non è un segno, ma se non è tale non è neanche lingua e, cioè, non è un “atto culturale".
Poche righe capaci di mostrarci che quando si parla di fotografia, ricordo è un testo pubblicato da Mondadori, si accetta qualsiasi grado di ignoranza nell'interlocutore, che ci ricordano come per alcune menti in precisi contesti culturali, Marra insegna al Dams di Bologna, in sessanta anni di dibattito sul tema non si sia fatto un passo in avanti. Per fortuna la realtà  ci sovviene con uno stato del pensiero assai diverso. Che l'immagine analogica presenti difficoltà  maggiori di manipolazione rispetto a quella digitale è tanto vero quanto falso, ma mi riservo di tornare sull'argomento con un testo apposito. Nel frattempo mi sembra assai esplicativo questo frammento di testo di J.C. Lemagny:

"Nell'epoca delle immagini digitali, i fotografi creativi s'interessano sempre più agli antichi procedimenti. Stanno forse per nascere nuove arti, ma la fotografia non ne è minacciata più di quanto non lo fosse nel 1839 la pittura dall'invenzione di Daguerre. Per le possibilità  di continue modificazioni che offre, l'immagine digitale è un ritorno al disegno. Come sempre, si trasformerà  in arte quando in essa la facilità  di un procedimento si trasformerà  nella resistenza di una materia. E il suo ruolo, nell'ambito dei media, di schermo interposto fra la realtà  e noi, verrà  a coincidere con quello che ha già  la fotografia come veicolo di significati illusori; si confondenderà  con esso, eliminando finalmente le ambiguità  che ancora pesano sugli impieghi della fotografia quando questa non ha intenti artistici. "
Con la fotografia analogica/digitale/sintetica è successo sostanzialmente lo stesso: il mezzo scambiato per il contenuto. Il medium è percepito come il messaggio, come se il medium non comunicasse altro che sé stesso.Questa tendenza a considerare importante il mezzo più del suo contenuto vi è stata, almeno nella fase iniziale della loro utilizzazione, per tutti i media del XX secolo. La fotografia ad esempio è "morta" senza riuscire mai a liberarsi di questo preconcetto, veramente. Ora se possiamo metter da parte una volte per tutte la questione del referente e accettare che la fotografia è un linguaggio dell'arte punto e basta - e che il fotogiornalismo è un momento epifenomenico della fotografia, se pur importantissimo ontologicamente non diverso da come potrebbe esserlo per la pittura l'abitudine in voga nei tribunali americani di non ammettere i fotografi ma solo dei ritrattisti, i quali riprendono la scena attraverso l'uso del disegno - possiamo finalmente concentrarci sulla fotografia come opera d'arte.

«L'artista è l'origine dell'opera. L'opera è I’origine dell'artista. Nessuno dei due è senza l'altro. Eppure, nessuno dei due, da solo, regge l'altro. Artista e opera ogni volta sono, in se stessi e nel loro reciproco rapporto, in virtù di un terzo elemento, che è, invero, il primo, vale a dire ciò da cui sia l'artista sia l'opera d'arte traggono il loro nome: l'arte.Tanto necessariamente l'artista è l'origine deIl’ opera in un modo diverso da come l'opera è l'origine del’artista, quanto certamente l'arte resta, in una modalità  ancora diversa, l'origine, al tempo stesso, dell'artista e dell'opera. Ma l'arte puà mai essere qualcosa come un'origine? Dove e in che modo si da arte?»
Martin Heiddegger

All'immagine sintetica oggi concorrono diversi lessici del mondo dell'immagine, che trovata una loro facilità  d'esploitazione maggiore, che si configura in una possibilità  di un uso più generalista, rendono il dominio di questo nuovo linguaggio, non lessico, assai esteso e mutevole e al contempo molto difficile da tradurre in un equivalente univoco atto della visione. L'immagine sintetica, infatti, inferisce il suo dominio linguistico su molti campi espressivi: arti figurative, arti plastiche, video, cinema, fotografia e grafica nella sua accezione più ampia. Questo è l'effetto principe dell'apparizione del trattamento digitale dell'immagine, la cui parola chiave è linguaggio. L'immagine ormai puà essere generata per mezzo di operazioni linguistiche astratte. Con il digitale ormai l'immagine è diventata un linguaggio non in senso metaforico, ma nel senso stretto della parola. E' questa l'unica rottura fondamentale in rapporto con le tecniche del passato. L'immagine digitale è innanzi tutto una scrittura: si scrivono delle immagini battendo su una tastiera. Non è una metafora. Non è tanto la metafora dell'immagine come scrittura nel senso vago dell'espressione, è veramente la possibilità  giocare con le immagini come si gioca con gli aggettivi, con i verbi, con le parole. Finora le immagini, l'immagine del pittore, l'immagine del cineasta, l'immagine del fotografo, l'immagine del "videasta" o, se si preferisce, della televisione, partecipavano della materialità  del mondo. Il pittore manipola dei pigmenti. Si stabilisce dunque un contatto tra la volontà  del pittore e una materialità  che gli oppone resistenza. Il fotografo, come il cineasta o il "videasta" gioca con dei fotoni. Ci sono dei fotoni che vengono a imprimersi su una superficie fotosensibile, che si tratti della gelatina fotochimica, del tubo elettronico della videocamera o della pellicola cinematografica. In tutti i casi l'immagine un tempo era legata alla materialità , alla concretezza del mondo reale. Con l'immagine digitale, non sono più dei fotoni o dei pigmenti che creano l'immagine, ma delle pure operazioni linguistiche. E in questo modo l'immagine appartiene interamente al regno del linguaggio. Questo è assolutamente fondamentale, in senso buono e in senso cattivo. In senso buono ci offre la libertà  del linguaggio, la sovrana libertà  dell'espressione, separata da ogni rapporto con il reale; in senso cattivo l'inconveniente è che proprio perché è privata di ogni relazione con il reale ne perde il sostanzioso midollo. Quindi il dibattito che si potrebbe sviluppare eventualmente stasera è: che cosa si guadagna, che cosa si perde a rifugiarsi così nel regno dei linguaggi simbolici astratti, quando si vogliono fare delle immagini. Ma questa condizione è data solo nel mondo virtuoso dell'immagine digitale come idea, anzi come idea positiva, quindi con un telos chiaro a priori prima di condurre l'analisi. Ora io dico che l'immagine digitale non rappresenta un passo in avanti nel linguaggio dell'immagine ne più ne meno di quanto non rappresenti un passo indietro, ma solo una redistribuzione degli spazi di intervento e delle competenze. Se per quello che riguarda l'immagine analogica l'operatore poteva manipolare tutto lo spazio delle competenze del suo mezzo, configurando tale mezzo di espressione come un vero linguaggio proprio, per ciò che riguarda l'immagine digitale l'operatività  è nella sostanza molto ridotta, ridotta ai termini linguistici ai quali una tecnica sulla quale l'operatore non puà operare, ma che è al contempo la tecnica stessa fondante il suo sistema di espressione, ne consente l'accesso. Paul Virilio - in accordo sostanziale con altri pensatori francesi, quali Jean Baudrillard e Marc Augé - va oltre nella sua critica della tecnologia contemporanea. A parere di Virilio, già  l'origine militare di Internet (che era, agli inizi, la rete di collegamento tra i computer dell'esercito americano)come di altri modelli di consumo tecnologici denuncia la sua funzione di dominio. Il dominio dell'America e del suo stile di vita passerebbero tramite Internet, come tramite i telefoni cellulari, le clonazioni, la biogenetica in genere e via dicendo. Questa posizione di Virilio è stata influenzata certamente da Dick, almeno quanto quella di Baudrillard da Ballard. La nostalgia dei "vecchi" media è notoriamente presente in molti romanzi di Dick e, al giorno d'oggi, in una interessantissima iniziativa di Sterling: il museo virtuale dei vecchi media. Questi autori, per quanto apprezzabili, rappresentano una forma di pensiero "vecchio", nel senso di pensiero incapace di metter in crisi il proprio modello di socialità . Il risultato è percepibile direttamente nei tono cupi o apertamente apocalittici di "Do androids dream electric sheeps" di Dick o di tutti i romanzi di Sterling. Lontani, lontanissimi dalle visioni meno ideologiche e più coerenti come ad esempio nel primo lavoro di successo di Neal Sthepenson "Snow Crash", dove partendo proprio dall'esperienza delle comunità  virtuali, l'autore ipotizza un loro trasferirsi dal mondo digitale, caratterizzato per il suo essere trans-materiale al mondo fisico classico. Eppure l'inserimento di un modello culturale dominante nell'atto della visone, fino ad oggi sostanzialmente libero dal punto di vista linguistico è un fenomeno di totalitarismo culturale da non sottovalutare. Ecco perché parlare dunque di rivoluzione, senza tener conto dell'implicita regressione per riduzione di competenza mi sembra al momento fuorviante. Accertato che non siamo di fronte a nessuna rivoluzione epocale, nè a fenomemi che non fossero già  visti, non dobbiamo negare però la grande autonomia linguistica dell'immagine sintetica rispetto ai fenomeni artistici e culturali che hanno composto a determinarla.....
La genesi dell'immagine sintetica come linguaggio è ascrivibile alla nascita della video-arte. La video-arte nacque negli anni '60 grazie alle sperimentazioni sull'immagine elettronica di Nam June Paik, come sempre nel tentativo di etichettarla si è finito per proporla come un nuovo linguaggio a se stante. Essa tuttavia non è mai stata un'arte autonoma, ma piusttosto lo sfrutamento delle possibilità  offerta dalla tecnologia video a forme estetiche già  esistenti, quali la scultura (videoscultura), l'installazione (videoinstallazione), la performance (videoperformance), e il cinema. Quest'ultima forma è quella su cui vorrei qui soffermare l'attenzione perché di piຠstretta pertinenza al nostro discorso. Mentre la tecnologia di base della produzione d'immagini su pellicola sta per scomparire, sostituita dalle nuove tecnologie digitali, i codici cinematografici trovano un nuovo ruolo nella cultura visiva digitale. Nuove forme di intrattenimento basate su media digitali e persino l'interfaccia di base tra uomo e computer si modellano sempre più sulle metafore del fare e del vedere un film. Così, il film (= pellicola) potrà  in breve tempo scomparire, ma non il cinema. Al contrario, con la scomparsa del film dovuta alla tecnologia digitale, il cinema acquisisce lo status di un vero e proprio feticcio. Ancora più feticizzato è lo stesso "look" del film - l'aspetto morbido, granuloso e un po' confuso di un'immagine fotografica tanto diversa dall'immagine dura e piatta di una videocamera o dall'immagine troppo pulita, troppo perfetta, della computergrafica. L'immagine fotografica tradizionale un tempo rappresentava l'inumana, diabolica oggettività  della visione tecnologica. Oggi, invece, essa appare così umana, così familiare, così domestica, in contrasto con l'aspetto alienante, ancora non familiare, di un monitor di computer. Indipendentemente da ciò che rappresenta, qualsiasi immagine fotografica oggi anzitutto rappresenta la fotografia. Così il digital imaging, mentre promette di sostituire completamente le tecniche di produzione dell'immagine su pellicola, nello stesso tempo trova nuovi ruoli e attribuisce nuovo valore al dispositivo cinematografico, ai film classici e al look fotografico. Certo, però, ciò che il digital imaging preserva e diffonde sono solo i codici culturali del film o della fotografia. Da questa operazione di marketing ancor prima che di linguaggio nascono molte dei più comuni luoghi comuni e delle peggiori mistificazioni sull'immagine sintetica.

Inviato: 20/6/2008 23:30
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Re: Purezza e meditazione in fotografia
Utente non più registrato
Citazione:
la meditazione e la fotografia non credo vadano quasi mai ( e sottolineo il quasi) d'accordo; la concentrazione e la fotografia invece si. Ed è solo una questione di testa. se poi avete la testa digitale...


Questa è una visione generale della fotografia che ammiro e che imito. Non credo che attraverso la meditazione si possano superare quei limiti che costringono le nostre fotografie in una area delimitata di estetica, di gusto. Sono più diretto verso il "buona la prima", coltivando anche dell'incoscenza nonostante il mezzo molto tecnico che uso.

Nel mio caso la scelta che prendo al volo con diretta immediatezza è il punto da cui partire per la composizione, difficilmente muovo il cavalletto da dove lo piazzo inizialmente per lo studio dell'immagine.

Attraverso un mezzo che mi piace usare, grazie anche alle costrizioni fisiche e logiche che nascono da quel mezzo legate al mio gusto, mi trovo in completa sintonia con questo concetto e non nego l'esistenza di altre formule che miscelino alla perfezione gusti e mezzi ma, non me ne volete per questo, per una perseverante e forse errata e retrograda viosione delle cose, io sono portato a elevare dei mezzi sopra gli altri.

Chi ha la testa digitale non avrebbe mai aspettato due ore per coglere il volto perfetto di passaggio; si sarebbe "limitato" a fare una serie per l'hdr e poi impastato un vecchietto fotografato in un qualsiasi mercato rionale.

per ellemme: in breve?

Inviato: 21/6/2008 5:01
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Re: Purezza e meditazione in fotografia
Utente non più registrato
quando si parla di fotografia si arriva sempre alla fotografia, il fatto stesso di argomentare su certi aspetti porta inevitabilmente a prendere coscienza anche degli aspetti tecnici di certe scelte.
quello che si dovrebbe ammettere in questa discussione è che il mezzo (fotografico) è parte determinante del risultato finale, soprattutto nell'era digitale dove alcune certezze visive possono essere omesse.
In questo clima di sconvolgimenti visivi quello che è più vicino alla Fotografia è tutto ciò che richiede interventi e metodologie analogiche.

Inviato: 21/6/2008 9:23
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Re: Purezza e meditazione in fotografia
Utente non più registrato
In che senso " ciò che è più vicino alla fotografia richiede interventi e metodologie analogiche " ?
Riguardo alle certezze visive a cosa ti riferisci?
Penso che dall'avvento delle nuove tecnologie si siano create anche nuove consapevolezze, mentre prima potevano facilmente crearsi tendenze "fideistiche" nella presunta verità -fedeltà  dell'immagine fotografica.
Riguardo al mezzo, è un discorso già  fatto ma sempre interessante. Mi chiedo se pensando ad un mezzo lo devo collegare ad un determinato risultato, oppure se non sia possibile modificare il linguaggio definito da un certo uso di certi apparecchi, cercando di "farsi usare" dal mezzo, modificando in parte le convenzioni di due secoli di fotografia.
E qui ci si potrebbe anche ricollegare al discorso di Eggleston ed alle sue diagonali-angoli che all'epoca fecero tanto scandalo.


Giorgio


Inviato: 21/6/2008 10:07
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Re: Purezza e meditazione in fotografia
Utente non più registrato
Come talebano negazionista pellicolaro fedeista ( ) credo di capire cosa vuole dire Reala. Con l'entrata di numerosi (e utilissimi) strumenti il raggio di quello che è fotografia si è allargato in maniera nota fino a comprendere immagnini ottenute nelle maniere più diverse e possibili in ogni ambiente, in ogni casa.

C'è una confusione tale e un allargamento di vedute tanto grande da non essere più sicuro se una immagine stampata su un quotidiano sia una fotografia o una litografia, sempre che venga utilizzata ancora. Per questo spesso si è portati a prendere un punto di riferimento solido che ci riconduce an un termine oramai usato anche per classificare gli orsetti sulla carta igenica.

Per alcuni il punto di riferimento è l'immagine in quanto tale, per altri un mezzo utilizzato nella fase iniziale o finale della creazione della fotografia, ecc., ecc., ma sono tutti punti di ancoraggio molto personali, spesso oltranziste, e di conseguenza trovano affinità  o divergenze a seconda delle abitudini del fotografo.

Per quanto riguarda lo strumento ed il messaggio credo che sia fisiologica la diversa strada da seguire per raggiungere un medesimo risultato utilizzando mezzi diversi.
Si puà ottenere lo stesso messaggio sia utilizzando una Holga come un banco ottico, ma è innegabile che il mezzo costringa il fotografo nelle scelte per la composizione del messaggio.

Inviato: 21/6/2008 13:38
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Re: Purezza e meditazione in fotografia
Utente non più registrato
Ci siamo capiti...

Inviato: 21/6/2008 18:55
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Re: Purezza e meditazione in fotografia
Utente non più registrato
Credo tu abbia colto appieno il limite del mio testo.......
Non solo sono d'accordo con te che è riduttivo, ma è la parte che sto cercando di integrare.... dal punto di vista del linguaggio, naturalmente.

Per altro lo so che non è da forum.... diciamo che è stato un esperimento... grazie comunque per averlo letto.

Saltando di palo in frasca trovo il tuo portfolio "Refinery flock" di altissimo livello, assolutamente contemporaneo, una vera sorpresa, per altro ti avevo già  visto altrove? forse mi ricorderà dove.... dovresti dar seguito a questa potente visione.

Saluti

Inviato: 22/6/2008 21:20
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Re: Purezza e meditazione in fotografia

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20/5/2008 8:28
Da Venezia - Mestre
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M'inserisco timidamente nel tema.

Concordo con la sottolineatura di Massimo:

"Pur concordando in linea generale con l'approccio trovo un po' riduttivo (anche se ben argomentato) la parte in cui scrivi:

"Con l'immagine digitale, non sono più dei fotoni o dei pigmenti che creano l'immagine, ma delle pure operazioni linguistiche."

In effetti quanto dici è vero solo nella parte "successiva" alla presentazione dell'immagine sulla superficie del sensore... "

Penso che proprio questo possa essere un tema importante da prendere in considerazione.
La fotografia è "scrittura con la luce" e quindi è coerente con la scrittura dei fotoni sulla superfice sensibile, analogica o digitale che sia.
Dopo nascono le differenze, le confusioni e le mistificazioni.
Infatti nella pellicola o negli altri supporti analogici quello che viene scritto puà essere mascherato e/o modificato, nel senso che gli alogenuri d'argento o sono stati impressionati o non lo sono stati. L'intervento di correzione avviene solo su quelli impressionati, che in qualche modo "rimangono" sul supporto dopo il trattamento di sviluppo e fissaggio.
Sul digitale, invece (ed è un "invece" non da poco), il pixel possono, tutti, essere comunque modificati dopo, nella fase successiva, quella "liguistica".
Ed è qui che puà avvenire la "mistificazione del pixel", proprio come nella pittura il bianco della tela viene "mistificato" dal pigmento.
In questo senso il sistema digitale si presta sia alla fotografia, sia ad altre forme di rappresentazione .... del reale e dell'immaginario (o immaginato).

Forse è un po' azzardata, .... ma mi stimolava partecipare.

ciao a tutti

Inviato: 23/6/2008 10:53
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Re: Purezza e meditazione in fotografia

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8/10/2006 17:44
Da Torino
Messaggi: 1461
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Aggiungo un pezzo, forse rischiando l'OT, ma credo che sia giunta l'ora di lasciare perdere la comprensione della fotografia a partire soprattutto dalla sua natura, orientamento questo che ha generato la polemica ancora accesa tra la fotografia a pellicola/analogica (Marra e altri) considerata indice e la fotografia digitale considerata icona (Costa e altri). Polemica che resta viva anche nelle pagine di altri testi (il libro della Madesani, molto interessante ma che alla fin fine ricade in questa dicotomia, il testo di Signorini sulle teorie e lo stesso di Marra, compreso anche il suo ultimo sull'immagine infedele). Polemica che ha fatto perdere di vista l'attenzione alle pratiche fotografiche nelle loro caratteristiche espressive e comunicativo/semiotiche (vedi l'approccio di Floch e più in generale della sociosemiotica).
Se si continua a intestardirsi sulle differenze "linguistiche" tra analogico/digitale non si va molto lontano.
Questo non vuol dire che il media non abbia la sua importanza, ne ha molta. Ma allora trovo più interessante i fotografi quando parlano di mezzi, ma, per me, sempre nell'ottica di comprendere le diverse pratiche fotografiche, all'interno delle quali ci puà anche stare la questione della meditazione e della purezza (benchè questa parola, purezza, vada presa con le molle...).
bs
marco

Inviato: 23/6/2008 12:05
La fotografia non si domina: corre da sola e l'uomo la segue in ritardo e mai come oggi.
A. Gilardi

www.mbphoto.it
www.flickr.com/photos/marcofluens

..................
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Re: Purezza e meditazione in fotografia
Utente non più registrato
credo che sia giunta l'ora di lasciare perdere la comprensione della fotografia a partire soprattutto dalla sua natura, orientamento questo che ha generato la polemica ancora accesa tra la fotografia a pellicola/analogica (Marra e altri) considerata indice e la fotografia digitale considerata icona (Costa e altri). Polemica che resta viva anche nelle pagine di altri testi (il libro della Madesani, molto interessante ma che alla fin fine ricade in questa dicotomia, il testo di Signorini sulle teorie e lo stesso di Marra, compreso anche il suo ultimo sull'immagine infedele). Polemica che ha fatto perdere di vista l'attenzione alle pratiche fotografiche nelle loro caratteristiche espressive e comunicativo/semiotiche (vedi l'approccio di Floch e più in generale della sociosemiotica).

Ti cito e guarda non potrei esser più d'accordo.


Se si continua a intestardirsi sulle differenze "linguistiche" tra analogico/digitale non si va molto lontano.

Non ci sono macroscopiche differenze linguistiche tra l'immagine analogica e quella digitale, la sintassi dell'una muta elabora e permuta la sintassi dell'altra. E' l'immagine di sintesi che riunisce e supera ambedue i lessici per comprendere e divenire altro.





Inviato: 23/6/2008 15:31
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Re: Purezza e meditazione in fotografia

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27/4/2006 13:48
Da Roma
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Per il mio modo, individuale e personale, di intendere e considerare la fotografia, l'headline è semplicemente “il presente che diventa passato in un centesimo di secondo”. La mia parziale riproduzione (o sarebbe meglio dire “interpretazione?) della realtà  riguarda fatti, persone, situazioni, attimi, che sono là , a portata di mano, e che il mio occhio vede in un certo modo.

Se ragionate anche voi su queste basi non troverete alcuna differenza oggettiva tra il pixel e l'alogenuro, poiché è il risultato ad essere significante e significato, è il messaggio che comunico attraverso un linguaggio composito, metà  derivante dal mezzo, metà  dalle sovrastrutture culturali che, nel caso dell'immagine più che in altri campi, diventano strumenti di codifica/decodifica della trasmissione.

La manipolazione per allontanare il mezzo dalla realtà , in virtù di una liberazione del linguaggio, costretto dai rigidi schemi della tecnologia, diventa questione di onestà  intellettuale e di etica. I limiti oltre i quali la fotografia diventa mera espressione di un linguaggio e cessa il ruolo sociale di documentazione, non sono ancora stati definiti: una pubblicità  puà barare sulla realtà , una documentazione no. Chi l'ha deciso? Chi ha deciso che l'immagine digitale permette una maggior flessibilità , avvicinandosi sempre di più ad un concetto di arte che, a questo punto, vedo sempre più astratto e nebuloso?

Come ho già  scritto in questo forum, da qualche parte, mi sento molto estremista quando si parla di arte, non ritenendomi un artista ma un umile artigiano della documentazione. L'arte la fa l'artista e non il mezzo, pertanto decreto con veemenza che la fotografia non è arte come non lo è la buona cucina: un fotografo però, come un cuoco, puà essere artista ed elevare il mezzo, il proprio mezzo espressivo, al rango degli oggetti che ha fatto grandi altri artisti. Come i pennelli di Leonardo o i carboncini raccattati nel fuoco di Ligabue. Se qualcuno pensa che il legno bruciato sia arte tout-court, si faccia avanti: potrebbe nascere una simpatica discussione.

Non dimentichiamo che il buon Ando Gilardi (sebbene con l'avanzare dell'età  abbia perso un po' dello smalto che lo contraddistingueva in gioventù) aveva dimostrato come la fotografia non fosse altro che una tecnica i riproduzione, e che, infatti, il 90% del mercato dei materiali fotografici non avesse i fotografi come acquirenti, bensì i tipografi, l'industria elettronica (basette stampate) e gli studi scientifici (microfotografia, aerofotogrammetria, raggi X ecc.).

L'avvento del digitale non ha modificato più di tanto il mercato in questo ampio senso inteso.

Eppure il dibattito che, come una tempesta, si abbatte ciclicamente sui fotografi, non tiene mai conto di essere condotto dal frammento di una minoranza di utilizzatori, e rivolto ad un altro frammento della stessa minoranza.
In sintesi, ciò che voglio dire è che digitale o analogica (che io insisto nel chiamare chimica dato che la digitalizzazione è l'ultimo scalino del processo analogico di acquisizione), la fotografia, il suo significato, la eventuale manipolazione, l'essere assurta ad arte, dipende da chi la usa e non dal mezzo. La maggior semplicità  di manipolazione invoglia anche i più pigri o i meno abili in camera oscura, a giocare, a inventare le immagini dei propri sogni o dei propri incubi. Forse proprio per questo, per il maggior coinvolgimento dei sensi e della manualità , quindi dell'artigianalità , il prodotto fotografico chimico resiste e diventa barriera alla filosofia dell'immagine da consumare rapidamente, avidamente, alla portata di tutti, scattata con un ipod, un telefono, forse - un domani – con gingilli inseriti in oggetti di uso quotidiano (una caffettiera?).

L'avvento del digitale non ha davvero modificato il modo di fotografare - almeno per chi si sente fotografo – ma ha stravolto la quantità  di immagini che vengono scattate e che non appartengono più all'archivio della memoria. Come dire: da documentazione per i posteri a prodotto usa e getta, consumato in giornata, ucciso con un click sulla voce “eliminare” del dispositivo utilizzato, spedita dal cellulare prima di essere a cancellata ad un altro cellulare dove sarà  inesorabilmente cancellata.

Il digitale ha svilito la fotografia abbassando ulteriormente il livello dei fabbricatori di fotografie, ma stiamo parlando di massa non educata al linguaggio delle immagini, che diventa protagonista di un piccolo mondo. I fotografi, gli utilizzatori di immagini, professionisti o amatori che siano, non fanno parte di questa rivoluzione: continuano imperterriti nelle loro ricerche, nel gusto di fermare l'attimo, nel loro lavoro, nella loro passione, nel loro tentare di raggiungere forme espressive e di linguaggio che attraverso l'immagine raggiungano la consacrazione dell'arte.

A noi no, il digitale non ha cambiato gran che nei nostri obiettivi e nelle nostre convinzioni, se non il gusto di sfidarci a tenzone attraverso la reciproca dimostrazione della miglior bontà  di un sistema sull'altro, gioco ingenuo che, talvolta, serve solo per rassicurarci sulla bontà  dell'ultimo acquisto, per non avvilirci di fronte al dubbio di aver imboccato la strada sbagliata, pur consapevoli che entrambe le strade conducono solo alla meta che abbiamo già  in mente. Indipendentemente se ci andiamo a cavallo o in automobile.

Inviato: 23/6/2008 16:58
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Re: Purezza e meditazione in fotografia

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Cerco di dare un altro pezzo di contributo che però non é di fatto una risposta diretta a qualcuno anche se muove dal alcune dette da FranzX.
La questione che ponevo prima sta tutta dentro al dibattito su cos'è la fotografia, dibattito che ha anima gli studiosi e la critica contemporanea. Dico questo perchè ritengo che quando si discute bisogna un po decidere rispetto a quale sfondo si sta discutendo, ovviamente decidendo che si cambia anche sfondo, sia chiaro. Per me il dibattito attuale tra gli studiosi e i critici, perlomeno nelle sue forme più consuete (si prendono i 10 libri più importanti e si guarda cosa dicono, che ci piaccia o no) sulla natura della fotografia é al capolinea. E' al capolinea perchè si avvita sulla natura della fotografia a partire da concezioni semiotiche superate dalla stessa semiotica. E' superato perchè prende le mosse da un fantastico autore qual'è Duchamp e dai suoi readymade, aggiungendoci un po di concettuale, e non si sposta di li. E' superato perchè non guarda alle pratiche della fotografia, ma guarda all'arte e forza la fotografia all'interno di quel contesto. Capisco i mercanti, l'ho già  detto, capisco i critici, gli artisti, ecc, ecc, ma la fotografia non la si fruisce nel 95% della sua produzione nelle gallerie, ma la si fruisce per strada, sulle riviste, sui libri, nella pubblicità , in televisione, nei siti, sui muri, in casa, e per fare un sacco di cose che non c'entrano con l'arte, come invece la pornografia (W gilardi!!), il ricordarsi, raccontare, esprimersi (che é diverso dal fare arte), persuadere, informare, ecc, ecc. Che poi tra questi diverse pratiche ci sia quella artistica é ovvio com'è ovvio che c'è ancora il giorno e la notte. Ma é una delle possibili pratiche fotografiche.
Per questo che rivendico al fotografo uno statuto che non é quello dell'artista in assoluto, ma nemmeno quello dell'artigiano. E qui allora arriva un pensiero che non é più necessariamente riferito ad alcune teorie, ma parte più da un'idea (forse che alcuni hanno già  espresso ma che io non ho colto). Che il fotografo abbia uno statuto mobile, come lo é la fotografia, che parte dall'esistenza di una serie di bisogni sociali e individuali, che da un secolo e oltre, e più di altri media, la fotografia assolve e che ruotano intorno alla necessità  di costruire delle identità , attraverso una dimensione "rappresentativa/evolutiva", attività  alla quale partecipa anche l'espressione artistica. E qui con identità  si intendono le forme che questa ha assunto e assume nelle società  complesse e in mutazione.
La fotografia di territorio, ad esempio, per me serve a questo, e le grandi missioni fotografiche a questo sono servite e servono. Poi se dobbiamo per forza farle rientrare nell'arte, per me vuol dire che conviene solo a qualcuno, perchè il loro scopo non é artistico. Lo dico pur conoscendo il lavoro di Basilico che ha partecipato alla, forse, più importante di queste, la Datar (mi ricordo che si scrive così ma correggetemi se sbaglio ) realizzata in Francia dal governo, nella quale si é anche fatto un particolare lavoro "artistico" in quanto i fotografi sono stati considerati artisti grazie alle loro capacità  di vedere altro e oltre (così almeno l'ho sempre capita). Ma se si lasciano lavori come questi solo nel contesto artistico si rischia di privarli della loro potenza visionaria che andrebbe fruita e vissuta invece in contesti multipli e da tante, tante persone. Per me questo é uno sfondo di riferimento, dal quale, allora, si puà partire per parlare di pratiche fotografiche.
bs
marco

Inviato: 23/6/2008 18:13
La fotografia non si domina: corre da sola e l'uomo la segue in ritardo e mai come oggi.
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Re: Purezza e meditazione in fotografia
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Vi giuro che parlo seriamente.
Voglio dire che non ho alcuna intenzione ironica, nè tantomeno desidero polemizzare con alcuno dei partecipanti a questo topic o con alcuna delle idee che sono state esposte.
Vorrei solo sapere.
Per fare fotografia "seria" (intendendo tutto ciò che non sia semplice foto ricordo di compleanno, viaggio o simili ricorrenze), bisogna davvero porsi anche solo una frazione di tutte le questioni ed i problemi che sono stati illustrati?
Perchè, se è così, allora penso che dovrà davvero cambiare attività  ricreativa (fortunatamente non la faccio per professione!), perchè - certamente per mia pochezza intellettuale - di questi problemi non ci capisco e non ci ho capito quasi nulla.

Inviato: 24/6/2008 16:29
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Re: Purezza e meditazione in fotografia

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Ti giuro anch'io Luciano che ti rispondo seriamente.
No, non serve, lo abbiamo gà  detto in questo forum decine di volte. Ci sono musicisti (ne conosco personalmente) che suonano e molto bene, ma non conoscono cosa si dice a proposito della natura della musica, del suo linguaggio (e qui sono sorci più carognosi che in fotografia). Puoi avere talento fotografico e non fregartene assolutamente nulla di linguaggi, teorie, semiotica, sociopsicoantro qualcosa'altro.
Se per qualche ragione però si vuole avere una propria posizione anche in quest'ambito, allora devi saperne. Tutto qui. Che so, scrivi da qualche parte, fai l'operatore culturale, o semplicemente ti piace. Si, puà anche piacere sapere di queste cose.
Per me é così, perchè oltre a fotografare ho partecipato e partecipo a gruppi di lavoro nell'ambito artistico, ecc, ecc.
Però é curioso perchè poi non fotografo da "artista" .
Vorrei però che non si aprisse, come in altre occasioni, una discussione di questo genere..a suo tempo avevamo fatto un confronto e mi pare fosse anche proficuo, dove si parlava di cassetta nella quale mettere i propri arnesi/atrezzi per sentirsi fotografo. Luciano, ognuno ci mette quello che gli pare. Non credo inoltre, per quel poco che ti conosco, che tu non ci capisca. Semplicemente non te ne sei mai occupato, che é cosa diversa. E ci sono esempi tra i grandi fotografi che dimostrano le diverse posizioni. Ne cito solo una, il grande U.Mulas da fotografo se ne é occupato, provando a dire qualcsa sulla natura della fotografia, su cosa rappresentasse il materiale che ogni giorno lui trattava, pellicole e quant'altro. Altri fotografi fanno altro.
bs
marco


Inviato: 24/6/2008 17:18
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Re: Purezza e meditazione in fotografia
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Da lombardia
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Ti ringrazio molto, Marco (samuel).
Mi sento molto più sereno adesso, dopo la tua tranquillizzante risposta.
Come giustamente hai rilevato, non mi sento molto attratto dalle questioni sottilmente metodologiche e teoriche, o forse semplicemente non possiedo gli strumenti concettuali per affrontarle E però, questo mi fa sentire spesso del tutto inadeguato.


Inviato: 24/6/2008 17:25
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Re: Purezza e meditazione in fotografia

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Sull'inadeguatezza...su questo forum la sperimento quotidianamente a proposito dei temi tecnici. Penso all'ultima discussione che ho seguito (perchè poi le leggo anche...!!!) quella sulla stampa di poster in alta qualità . Straordinaria, non ci ho capito una mazza!! nel senso che l'ho seguita, so di cosa parlano, ma non saprei ripetere una virgola, che equivale a dire non averci capito una mazza. Così in almeno un'altra decina di discussione tecniche. Per me sono dei matti, non so dove trovino il tempo per sapere tutte ste cose, a meno che sia il loro lavoro e allora...li pago e faccio stampare da loro il poster. Come del resto faccio con gli stampatori in bianco e nero. Vedi, alla fin fine ognuno fa quel che puà.
Sulla questione degli aspetti metodologici e teorici, direi solo che esistono da quando esiste l'uomo e in tutti i campi del sapere, della tecnologia e della tecnica. Pensa alla scienza, mica tutti gli scienziati sciorinano tranquillamente cosa hanno detto i filosofi della scienza, anzi alcuni fanno spallucce. E come dici si tratta anche di interesse, di orientamento, e compreso questo si puà sentirsi adeguati lo stesso. Volendo c'è sempre tempo ad affrontare anche questi argomenti. E poi, scusa, entrambi facciamo delle gran belle foto, a prescindere!!
bs
marco

Inviato: 24/6/2008 18:14
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Re: Purezza e meditazione in fotografia

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esco da una prima, veloce lettura dell'interessantissimo testo di Elleemme confuso e stremato, vista l'enorme mole di concetti, contenuti e riferimenti che nella maggior parte dei casi non sono neanche in grado di apprezzare. Dal basso della mia ignoranza, però, temo di non essere troppo d'accordo con la tesi di fondo (forse perchè ne ho una belleffatta che, per quanto tagliata con l'accetta, ritengo efficace)
Innanzitutto mi pare non del tutto inutile constatare che la maggior parte di coloro che ragionano di fotografia, per professione o perchè semplici utenti della fotografia come me, abbiano ormai riconosciuto che l'avvento del digitale rappresenti una discontinuità  radicale rispetto a ciò che si intendeva per fotografia fino a venti anni fa. Cioè una prassi e una molteplicità  di significati che si sono andati stratificando nel corso di un secolo e mezzo, fino a raggiungere un pur precario equilibrio tra il momento oggettivo e quello soggettivo, che garantiva quel "continuum" di cui parla Burgin.
Questo precario equilibrio tra il momento oggettivo, tecnico, macchinico e il momento soggettivo, interpretativo e immaginifico, che ha reso la fotografia ciò che abbiamo finora conosciuto e le ha attribuito il senso che aveva e che ancora oggi alcuni, come me, fanno fatica a considerare mutato, era in buona misura garantito dall'esistenza di una "resistenza di una materia": se la fotografia "storica" ha avuto un senso esso va ricercato, secondo me, nella sua ambiguità ; un ambiguità  dovuta all'equilibrio, appunto, tra la possibilità  di manipolazione e la forte resistenza di una tecnica che, con la sua complicata processualità , costringeva entro certi limiti abbastanza precisi l'intervento manipolatorio.
Ora con il digitale questo equilibrio si è rotto, il materiale non offre più alcuna resistenza (mi sembra questo il punto più importante, e non quello della definitiva, matematica astrazione dell'operazione ora pienamente linguistica), se prima ci si poteva fidare, ma solo fino a un certo punto (punto garantito dalla viscosità  della tecnica), della fotografia oggi non ci si puà più fidare per niente. E se è vero che il fotogiornalismo è stato glorioso ma epifenomenico, è anche vero che con un mezzo come la fotografia digitale attuale non sarebbe stato più attendibile delle gloriose copertine della domenica del corriere di Molino.
La rottura di questa ambiguità , di questo fragile equilibrio a mio avviso riconsegna la fotografia a un mondo, quello delle arti grafiche, dal quale ritengo (ideologicamente) che si sia sempre "salvato" proprio grazie alla tecnica. E di questo perduto equilibrio non credo che sarà  la fotografia a giovarsi, anzi credo, sempre ideologicamente, che questo fatto rapprsenterà , nei prossimi decenni, una perdita secca per la fotografia tout court se non la sua scomparsa, o la sua riduzione a un ruolo assolutamente ancillare. Il ch eè buffo dopo decine di anni in cui gli artisti "da tela e da museo" hanno saccheggiato la fotografia.
Probabilmente, col tempo, si ricreerà  un nuovo equilibrio, si faranno avanti nuovi significati per la fotografia, una nuova missione sociale differente da quella della fotografia classica, storica, fotogyornalistica, fotoamatoriale ecc. ecc. Ma questo nuovo equilibrio dovrà  sempre fare i conti con l'imprescindibile relazione tra Soggetto e Oggetot, quella relazione che, per dirla con Pirsig, contiene il germe della Qualità .

Inviato: 28/6/2008 21:20
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Re: Purezza e meditazione in fotografia

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non mi sembra di aver usato il termine "duttilità ", parola con una connotazione positiva che mi pare essere più nel tuo pensiero che nel mio.
Per come la vedo io, per essere brutale, la fotografia ha sempre vissuto del fatto che ciò che si vede ha una relazione diretta, dovuta al fatto tecnico, con ciò che sta (generalmente, ma non sempre) davanti all'obiettivo. Cioè con il famoso referente. Vedo la foto di mio nonno e dico, superstiziosamente secondo Gilardi ma lo dico, e come me lo dicono tutti, che quello è mio nonno. Vedo Vittorio Emanuele di Alinari e con tutto il "lifting" fotografico riconosco Vittorio Emanuele II in entrambe le versioni accostate da Mulas.
Ora la tecnica allenta, e molto, la relazione col referente e se una ragazza mi mandasse una sua foto in costume potrei ragionevolmente dubitare della misura del suo seno. Questo perchè, sempre per rimanere terra terra, se una manipolazione su una fotografia analogica è ancora una operazione piuttosto difficile, dall'esito incerto, e fortemente vincolata dalla tecnica, in digitale come tutti sappiamo è di estrema facilità . La fotografia analogica è sempre stata attendibile, ma fino a un certo punto: quel punto è fissato dalle possibilità  di manipolazione, a partire dalle più semplici e più potenti, come la scelta del soggetto, cioè di ciò che si fotografa, e dalla scelta dell'inquadratura, cioè del come lo si fotografa. I confini della falsificazione sono, come si vede, molto ampi, ma sono ben noti e in genere evidenti.
Il dibattito ha sempre girato a vuoto intorno ai due poli della oggettività  - soggettività , quando, evidentemente, la fotografia non è nè solo una cosa, nè solo l'altra, essendo da sempre testimonianza di una visione soggettiva su una realtà  oggettiva e, senza che i due termini possano in alcun modo essere separati. Qui la tecnica conta moltissimo, ripeto: l'equilibrio tra i due aspetti è stato finora garantito dalla tecnica, dal fatto che ciò che si è presentato davanti l'obiettivo ha lasciato traccia sulla pellicola, attraverso un processo fisico e chimico, anche se l'autore non aveva affatto preventivato quella traccia. Col digitale il piano è più inclinato e, guardando una immagine digitale, non possiamo avere più alcuna certezza che il referente del ciuffo d'erba riprodotto sullo sfondo di una fotografia sia il vero ciuffo d'erba e non un'idea a priori dell'artista che riteneva necessario proprio quel ciuffo d'erba sullo sfondo.
E così, sempre per mantenermi fedele alla mia linea di massima semplificazione, si perde lo specifico fotografico e la ex-fotografia non è più distinguibile dalla computer-graphic nè, in generale, da qualsiasi altra arte grafica.

Inviato: 29/6/2008 11:00
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