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Fotografia Europea: quattro chiacchiere in libertà

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22/6/2009 11:34
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Tre anni fa, sul defunto forum gemello, avevo postato “Fotografia Europea, due chiacchiere in libertà”. Ripropongo il testo, andato perso, ed aggiungo altre due chiacchiere riguardanti gli ultimi tre anni di questo evento, che continuo a seguire e ritenere importante a livello nazionale.
Non sono un critico fotografico: commenti giudizi considerazioni e la stessa scelta degli autori di cui parlare, riflettono esclusivamente i miei gusti fotografici.

**************

“Fotografia Europea” è un insieme di eventi che ogni anno si svolge a Reggio Emilia, con conferenze seminari workshop e laboratori didattici concentrati nelle giornate inaugurali agli inizi di maggio, e mostre che proseguono fin verso la metà di giugno. Quella del 2013 è stata l’ottava edizione, ed io ho visitato le ultime cinque.

Le “mostre principali” sono presentate in una decina di spazi espositivi, alcuni decisamente suggestivi, tutti all’interno dell’esagono e quindi comodamente raggiungibili a piedi. In parallelo, a Palazzo Magnani, c’è sempre un’importante retrospettiva di qualche grande fotografo del passato (l’ultimo è stato WeeGee, e ne avevo parlato in un’altra discussione).
Inoltre è presente una miriade di piccole “mostre collegate” che straborda dai confini urbani per estendersi in tutto il comune. A parte alcune gallerie del centro, prima fra tutte la Saletta Galaverni dove ho visto passare nomi come Saudek, Scianna, Kenna, si tratta di lavori di autori poco conosciuti esposti in hotel, bar, osterie, ristoranti, librerie e negozi vari, con anche roba decente in un contesto quasi sempre indecente.
Dopo aver interrotto i cinguettii di una coppietta seduta in un cantuccio di un bar di via Farini nel vano tentativo di capire cosa rappresentasse una foto appesa nella penombra dietro le loro teste, e dopo essere stato redarguito da una signora in una salumeria di piazza Fontanesi che pensava volessi passargli davanti mentre cercavo inutilmente un’angolazione che mi permettesse di vedere cosa si celava dietro il vetro di una stampa che rifletteva nitidamente una fila di culatelli, ho deciso di tagliare la testa al toro ed ignorarle in toto.

Visitare una serie di mostre fotografiche, per quanto mi riguarda, è un’esperienza molto diversa dal visitarne una. Il biglietto cumulativo invoglia a vedere tutto, anche esposizioni che forse da sole avresti scartato, regalando a volte piacevoli sorprese. Alla fine ti accorgi di aver vissuto un paio di giorni completamente immerso nella Fotografia. Perché anche quando cammini nelle strade di questa bella cittadina per andare da una mostra all’altra, magari fermandoti a comprare le ciliegie in piazza S. Prospero, finisce che continui a pensare alle fotografie che hai visto, e la sera la trascorri a rivedere gli appunti e a sfogliare il catalogo.
Il fatto che la cosa si ripeta con cadenza annuale più o meno negli stessi posti, comporta poi un ulteriore coinvolgimento in quanto ti riporta alla mente immagini delle edizioni passate e stimola confronti trasversali e nuove correlazioni.

Ultimamente uno dei luoghi più suggestivi dell’esposizione, e anche il più ampio col maggior numero di mostre, è il complesso recentemente restaurato dei Chiostri di S. Pietro. Mi piace andarci alla sera, mentre cala la notte. L’anno scorso c’erano le bellissime (per i miei gusti) foto surreali e irriverenti della mostra Stuff di David Stewart, e un interessante lavoro di Philippe Chancel su Dubai Fukushima Kabul Pyongyang e Port au Prince. Nelle scorse edizioni erano passate le gigantesche e luccicosissime stampe di Massimo Vitali, un bel lavoro su Istanbul di Paola De Pietri e scatti di Paolo Roversi.
Un po’ meno scenografici ma da sempre sede di interessanti esposizioni, sono i Chiostri di S. Domenico. Negli anni sono passate una grande retrospettiva di Josef Sudek, l’ampia raccolta Des Européens di Cartier Bresson, lo splendido lavoro Terre a fuoco eseguito a sei mani (Fontana Kenna Scianna) su commissione per festeggiare i 50 anni di una grande azienda italiana dell’industria ceramica. E ancora gli intriganti e divertenti Self Portraits della ceca Dita Pepe che si ritrae accanto a uomini come fosse la loro partner, e l’interessante Lieux della francese Léa Crespi (già conosciuta ad Arles) dove mette in scena il suo corpo nudo in luoghi abbandonati.
Altro luogo caratteristico è la Sinagoga, dove nel 2009 era esposta un’unica fotografia, l’ultima scattata da Luigi Ghirri prima di morire (tra l’altro pare che quest’anno ci sarà una grande mostra di quest’autore), e nel 2012 era esposto Urban Changing del tedesco Peter Bialobrzeski, uno dei più bei lavori in assoluto che ho visto a Fotografia Europea (sempre ovviamente per i miei gusti). Un lavoro sulla trasformazione del paesaggio urbano incentrato sulla nascita e l’evoluzione delle megalopoli, dove le distese di grattacieli dell’architettura globale tutta specchi vetri neon e acciaio inghiottono le ultime baracche e costruzioni tradizionali a misura d’uomo.

Le due ambientazioni più suggestive credo di averle viste il primo anno che sono andato.
Una era la mostra Cose di Franco Vimercati. Premesso che l’opera di questo autore è lontanissima dai miei gusti, ho trovato la chiesa sconsacrata dei SS. Agata e Carlo sede della mostra, il luogo più appropriato del mondo per ospitare queste foto. Le stampe in BN a contatto da grande formato, sovente esposte capovolte come sul vetro smerigliato, di quegli oggetti banali con illuminazione priva di ogni enfasi, appese ai muri di calce grezza in quell’antico ambiente vuoto e silenzioso illuminato dalla luce naturale che entrava dalla porta spalancata, formavano un tutt’uno di grande fascino con l’ambiente.
L’altra era Kommunalka della francese Françoise Huguier, già presentata ai Rencontres d’Arles l’anno prima, dove nel corso di vari anni la fotografa francese ha documentato la vita negli angusti appartamenti comunitari di San Pietroburgo, una famiglia per stanza e cucina e bagno condivisi, seguendo in particolare una giovane donna, Natacha, diventata il filo conduttore del racconto. Grandi stampe a colori forti esposte in una serie di piccoli appartamenti vuoti e in disuso della Biblioteca Musei Civici, uno sopra l’altro per diversi piani collegati da una stretta scala. Non so se l’acqua dei sifoni dei bagni mancava per conto suo o perché era stata tolta. Fortuna o colpo di genio. Immagini davvero potenti in un ambiente estremamente coinvolgente.

Sulla scia di Kommunalka si sono susseguiti negli anni svariati lavori riguardanti paesi dell’ex Unione Sovietica, che personalmente trovo sempre molto interessanti.
Ne La mia Mosca Igor Mukhin ha indagato nel corso di molti anni il complesso passaggio dal regime sovietico alla nuova Russia. Zone of Absolute Discomfort, nome col quale i burocrati sovietici classificavano le più inospitali lande della Russia Artica, era anche il titolo di un bel reportage svolto nel corso di tre anni da Justin Jin sulla vita ai limiti dell’impossibile in quei luoghi.
Nell’ultima edizione ben quatto mostre realizzate con la collaborazione del Multimedia Art Museum di Mosca. In Journey into the future. Stop#1, stampe a colori di grandi dimensioni che riempivano la Sinagoga, Sergey Shestakov, ad un quarto di secolo dalla tragedia, esplora gli spazi off limits di Chernobyl dove la presenza umana si è estinta e la natura continua a soffrire.
In Dreaming Walls Lucia Ganieva entra nelle case di legno di un remoto villaggio dell’Udmurtia con pareti ricoperte con carta da parati fotografica. Non improbabili spiagge tropicali o fondali marini colorati, ma paesaggi famigliari con rilassanti laghetti e giardini fioriti che si fondono perfettamente con gli arredi creando una sorta di trompe l’oil che racconta i sogni e la voglia di evasione degli abitanti.
Sin dall’epoca dei Romani le nuove élite politiche o finanziarie, per dimostrare la legittimità del loro potere attraverso il legame col passato, hanno sempre sentito il bisogno di identificarsi con la cultura classica. Times New Roman di Tim Parchikov ci mostra le copie di statue romane, spesso libere e curiose interpretazioni, che ornano ville e giardini dei nuovi ricchi della Russia contemporanea nella regione di Mosca.
Della giovane Viktoria Sorochinski un bellissimo work in progress che porta avanti dal 2005 intitolato The wonder-house of Anna and Eve (un assaggio del quale era già apparso nell’edizione di due anni prima nell’ambito di una selezione di opere dal Festival della giovane fotografia europea di Parigi). Elaborate messe in scena che raccontano l’evoluzione del rapporto complesso e intenso tra una giovane madre e sua figlia, immigrate russe in Canada come la fotografa, mettendo in risalto il tema dello sradicamento e della nostalgia, la ricerca di un’identità, la percezione infantile del bene e del male, la determinazione crescente di una figlia e la fragilità della madre.

Gli ultimi tre lavori citati erano esposti nelle sale ovattate della Galleria Parmeggiani, una casa-museo di stile gotico rinascimentale fatta costruire da un eclettico mercante agli inizi del ‘900 per contenere le sue raccolte d’arte, un altro dei luoghi simbolo di Fotografia Europea. E’ qui che cinque anni fa ho conosciuto il fotografo reggiano Riccardo Varini e il suo splendido lavoro Silenzi, indubbiamente uno dei miei preferiti fra i tanti visti. Immagini su carta opaca di paesaggi sobri e silenziosi dominate dal bianco e da colori stemperati con l’intento di richiamare alla poesia e alla meditazione.

Altra tappa sempre presente nel circuito delle mostre è lo Spazio Gerra, luogo dedicato alla fotografia e all’immagine contemporanea. Quasi a continuare la strada intrapresa l’anno prima con una mostra di Philip Townsend, il fotografo della Swinging London, con tante immagini dei Beatles e dei Rolling Stones giovanissimi, nell’ultima edizione ha ospitato una grande mostra (foto, filmati, riviste d’epoca e copertine di dischi, il tutto permeato dalla musica) del più celebre fotografo delle star del mondo rock anni ’70, nonché artefice della costruzione dell’immagine di molti di questi artisti: Mick Rock (e non è uno pseudonimo…)
Mick è studente di letteratura a Cambridge, alle prese coi simbolisti Rimbaud e Baudelaire, i romantici come Byron, Shelley e Coleridge, e gli scrittori della Beat Generation Kerouac, Ginsberg e Borroughs. Nella città universitaria conosce Syd Barret, e con lui i Pink Floyd e l’acido lisergico, e vede in Syd il genio fragile, l’immagine di poète maudit impersonata dai simbolisti francesi. Syd chiede a Rock di fargli delle foto, che diventeranno la copertina del suo primo album. A quel punto Rock abbandona le velleità di scrittore e si dedica completamente alla fotografia. Incontra e diviene amico di David Bowie, ed inizia a documentare il percorso e le trasformazioni di “Ziggy Stardust” l’alieno rockettaro caduto sulla Terra, diventandone il sodale e fotografo personale. Forse la foto più famosa, che ha fatto decollare la carriera di entrambi, è quella in cui Bowie inginocchiato di fronte al chitarrista Mick Ronson morde le corde della chitarra, considerata ai tempi un’immagine scandalosa. Bowie gli apre le porte di Iggy Pop e di Lou Reed, e da quel momento il portfolio di Mick Rock si arricchisce via via coi Queen, Peter Gabriel, Bryan Ferry e i Roxy Music… (quest’ultima avrei potuto farla più corta, ma… era tanto per far sbavare un po’ Marco)

Ogni edizione ha ufficialmente un suo “argomento”, che dovrebbe rappresentare un filo conduttore per le mostre, ma si tratta sempre di temi di ampio respiro, tipo “Vita Comune”, “Cambiamento”, “Eternità”, “Incanto”, che di fatto non sono troppo vincolanti. E forse è un bene.
Vista la mia scarsa propensione per il genere ne ho parlato poco, ma tutti gli anni è presente una buona dose di lavori concettuali. Oltre ai già citati Vimercati e Vitali, c’è stata una bella retrospettiva di Man Ray e una di Jean Baudrillard, ed esposizioni di Nino Migliori, Ange Leccia, Rinko Kawauchi, Balthasar Burkhard, Machiel Botman, Joan Fontcuberta, solo per citare alcuni nomi piuttosto noti. Li guardo, anche in virtù del biglietto unico, e a volte scopro anche belle immagini che mi intrigano, poi magari leggo la spiegazione e capisco di non aver capito niente. Altre volte, dove proprio non riesco neanche a capire cosa rappresentino le foto, leggo con particolare attenzione spinto dalla curiosità, ma la mancanza di una laurea in filosofia moderna mi impedisce di capire persino quello che le foto vorrebbero rappresentare. Limiti miei.

**************

Il mondo cambia (si evolve, dicono) e con esso Reggio Emilia e le sue mostre.
Da quest’anno l’antidiluviana obliteratrice manuale che costringeva gli addetti a cercare la casella giusta tra le 7 o 8 del biglietto cumulativo prima di fare “sgnàc” è stata soppiantata dallo smartphone: l’addetto lo posiziona sopra al biglietto e, se azzecca la distanza, dopo alcune strisciate e ditate sul vetro si accende una luce verde ed il gioco è fatto. Tempi medi triplicati quando tutto fila liscio, ma il progresso non si può arrestare.
Il costo del biglietto è passato rapidamente da 10 a 12 fino agli attuali 15 euro.
Il ricco volumetto di oltre 200 pagine patinate che illustrava le mostre con interviste commenti e recensioni di ottimo livello, gratis i primi anni, poi al simbolico prezzo di 1 euro, si è trasformato dapprima in giornaletto su carta riciclata che però manteneva i contenuti, e poi nello scarno pieghevolino delle ultime due edizioni coi soli titoli e orari delle mostre principali, che si protraggono ora fino a luglio, accompagnato, quando si riesce a trovare, da una guida al Circuito Off che comprende tutte le mostre minori.
Ma tutto ciò mi sembra ben poca cosa quando entro nell’Antica Salumeria Pancaldi, aperta ora 7 giorni su 7 fino a mezzanotte, invasa da sedie e tavolini moderni con qualcuno seduto che consuma facendosi un selfie, ed una enorme luccicante macchina per il caffè espresso che troneggia sul bancone. Esco cercando di non guardare, con un pacchettino che contiene una parente della culaccia di un tempo: 50 anni di storia cancellati.

L’impressione che ho avuto in questi ultimi anni è un crescente orientamento verso la fotografia concettuale, tanto che prima di tornare quest’anno ho guardato bene sul sito che ci fosse almeno qualcosa di consono ai miei gusti. Una fotografia concettuale esasperata dall’ossessione dell’andare oltre, del trovare nuovi scenari, del linguaggio multidisciplinare. Che produce serie di foto delle pagine lasciate in bianco delle prime edizioni dei libri di Darwin (che vuole essere un omaggio allo scienziato), serie di foto dello schermo spento di un “i-qualcosa” inesorabilmente nere dove si intravvedono tracce di sudore e unto delle ditate (che ci offrono una meditazione sulla natura dell’immagine fotografica), serie di foto catturate “con l’ausilio dell’iphoneography” ma però stampate su vetro con metodi antichi (che non accettano di rappresentare la realtà nei limiti della distanza digitale). Ed ho letto, quest’anno, di un nuovo gradino nella storia della fotografia, ormai non più “scrittura con la luce”, ma divenuta “re-immaginazione” della realtà, ovvero sua interpretazione attraverso l’immagine digitale. Già, perché con l’argentico mica si riusciva a “re-immaginare”…

Protagonista dell’edizione di 3 anni fa è stato Luigi Ghirri. Non sono uno sfegatato di questo fotografo (non fucilatemi), alcune sue immagini mi piacciono molto, altre un po’ meno, altre ancora mi dicono poco. Era un’ampia retrospettiva ai Chiostri di S.Pietro, per me troppe foto troppo simili tra loro, circa 300 se ben ricordo, che alla fine stancavano un po’. Comunque un’occasione unica per farsi un’idea complessiva sull’opera di questo importante fotografo, riapparso quest’anno nell’ambito di un progetto molto interessante: le foto della storica esposizione Esplorazioni sulla via Emilia curata da Ghirri 30 anni fa, comprendente foto sue e di altri importanti autori (Basilico, Barbieri, Castella, Jodice, ecc.), accostate alle immagini ottenute in 2016.Nuove Esplorazioni, in pratica un progetto con lo stesso tema affidato 30 anni dopo ad alcuni fotografi contemporanei.
Quelli che di fotografia ci capiscono hanno scritto che in queste opere si vedono sia i cambiamenti dell’ambiente che i cambiamenti nel modo di rappresentarlo. Io temo di aver visto solo i secondi.
Nel progetto espositivo di 30 anni fa oltre alle fotografie c’erano anche scritti, pittura, musica, ma le fotografie erano fatte con la macchina fotografica e mostravano proprio la via Emilia, in un modo nuovo, dove i cerchietti più grandi sulla carta geografica lasciavano il posto a quelli più piccoli e alla sottile linea che li univa coi suoi cambiamenti e la sua quotidianità.
Nel progetto di oggi, ho visto foto elaborate e video di automobili, disegni immaginari di palazzi, grandi stampe che mostravano 2 mele e 2 pere, installazioni di oggetti vari, persino una bacinella di plastica colorata, e fotografie di un minuscolo paesino americano di nome Modena che per lo meno erano foto e non un cesto di erbacce raccolto sul posto. Però, a ben pensarci, sulla via Emilia passano automobili e nei supermercati che si incontrano si vendono mele e pere…

A Palazzo Magnani quest’anno andava di scena Walker Evans. Sicuramente un autore di grande importanza, tra i primi negli anni ’30 a puntare l’obiettivo su luoghi e gente comune, che ha influenzato il modo di fotografare di molti altri. La street photography non è il mio genere preferito, ma alle foto di Evans preferisco decisamente quelle di altri autori, Izis Bidermanas e Vivian Maier tanto per citarne due. Interessante era una parte della mostra che esponeva foto di Evans appartenenti alle collezioni private di fotografi italiani come Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, Luigi Ghirri, Guido Guidi, accanto ad alcuni loro scatti dove si vedeva l’influenza esercitata dal maestro americano.

Due lavori di due fotografi reggiani mi sono piaciuti particolarmente. Quello di Marcello Grassi esposto al Museo dei Frati Cappuccini lo scorso anno, e quello di Paola De Pietri esposto a Palazzo Da Mosto quest’anno. Il primo è un bianco e nero potente, forte, contrastato, che rende alla meraviglia le stupende inquadrature sulle rovine di Ercolano inondate dal sole. L’altro, un bianco e nero molto diverso, smorzato, ricco di toni intermedi, perfetto per le case coloniche disabitate e gli alberi spogli della pianura del Po in una grigia giornata invernale. Anche qui immagini così belle che riesco persino a perdonarle il formato carta da parati. Paola De Pietri è la dimostrazione vivente di come una laurea in filosofia non impedisca affatto di fare belle fotografie.
Sempre in tema di bianco e nero di qualità (ma parliamo di stampe molto più piccole, rigorosamente 19,5 x 20,5 cm, stampate sotto l’ingranditore da negativi 6x6 e incorniciate in passepartout bianchi di 41 x 61 cm), dall’anno scorso la Galleria 13 di via Roma espone nell’ambito del Circuito Off fotografie di Michael Kenna. Non ne parlo. Kenna è il mio idolo, non riuscirei ad essere obiettivo.

La più grande soddisfazione di quest’anno mi è arrivata fuori dai 15 euro del biglietto, in una delle tante mostre minori disseminate nei posti più disparati. Un mattino passando davanti ad una vetrina di una viuzza deserta del centro mi sono imbattuto in una di quelle foto che ti accalappiano: gli occhi non riescono più a staccarsi e le gambe si rifiutano di proseguire. Era presto, dentro la saletta vuota ne scorsi altre appese alle pareti, ed un foglietto scritto a mano appeso alla porta riportava l’orario di apertura. Così più tardi tornai a vedere Rodriguez mon amour, un progetto di Francesca Catellani.

Inviato: 11/7/2016 22:17
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Re: Fotografia Europea: quattro chiacchiere in libertà
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Marco

Inviato: 12/7/2016 10:34
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Re: Fotografia Europea: quattro chiacchiere in libertà
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Orso, grazie grazie grazie!

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Re: Fotografia Europea: quattro chiacchiere in libertà

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Grazie a chi ringrazia.
Mi rendo conto che un simile pippone imperniato sui “miei” gusti fotografici risulti pesantuccio, ma spero che la grande quantità di roba un po’ di tutti i tipi sempre presente in questi eventi invogli qualche lettore a visitare le prossime edizioni. Tra l’altro si vocifera che dal prossimo anno cambino parecchie cose. E poi Reggio Emilia è una cittadina davvero deliziosa. Sempre per i miei gusti, vabbè…

Inviato: 13/7/2016 22:01
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Re: Fotografia Europea: quattro chiacchiere in libertà

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19/8/2011 9:44
Da Milano
Messaggi: 151
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Invece è interessante: va letto con calma ma è interessante.
Appena "studiato" provo a dire di mio...

Ringrazio anche io, se non altro per il tempo dedicato a produrre il contenuto...

ciao
Marco

Inviato: 14/7/2016 7:46
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