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Re: Corsi e ricorsi storici
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11/3/2004 9:36
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Scusate se faccio un passo indietro ma, rileggendo il mio intervento, alla luce di quanto poi argomentato da Marco/Mxa, mi sono reso conto che effettivamente alcune cose che ho detto non sono chiare, scusate, è solo colpa mia...

Quando parlo di linee di fuga, di divenire reali, non mi sto necessariamente riferendo a processi di opposizione distruttiva, di scontro sociale/culturale (Deleuze direbbe "macchine da guerra"), di autodistruzione, certo, potrebbero significare anche quello, perchè ci sono anche delle linee di fuga "negative", ma queste sono solo una minima percentuale delle linee di fuga, che sono invece perlopiù "positive", e che attraversano tutti i giorni le nostre esistenze, sia a livello di macropolitica, macroeconomia, macrocultura, e sia a livello via via sempre più molecolare, sempre più intimo e personale, connesso direttamente al nostro quotidiano, quindi in diretta relazione con la nostra personale micropolitica, microeconomia, microcultura...

Una linea di fuga è tutto ciò che sfugge alla rigida griglia semantica attraverso cui cultura, potere, società , catalogano il reale, ed è così anche se questa linea di fuga è uno scostamento minimo dai valori condivisi, ed anzi le linee rigide, molari, dello cultura/stato/etica/senso, e le sempre presenti, sempre nascenti, inarrestabili linee di fuga, coesistono e si intersecano continuamente, si nutrono le une delle altre, nella visione di Deleuze (perchè questa interpretazione del reale è sua) questo rapporto/scontro costante tra le linee rigide/molari e le linee di fuga sono la condizione stessa delle nostre vite, la condizione stessa del divenire reale, del mutamento, ed è un processo che nel 90% dei casi è non violento, quotidiano, complesso...ci sarebbero anche le linee molecolari (una via di mezzo tra una linea di fuga, deteritorializzazione completa, e una linea rigida), ma adesso non vorrei complicare troppo il ragionamento e vorrei invece che sia chiaro che una linea di fuga puà essere anche, come dice Marco/Mxa, "equilibrio", "dematerializzazione", "riflessione piuttosto che rivoluzione", "introspezione e non dichiarazione", "pudore e non ostentazione", in realtà  non c'è una definizione univoca, una linea di fuga è vita vera vissuta, è ciò che ci accade, è il nostro quotidiano, nasce e muore spontaneamente, è complessità , stratificazioni, comportamenti sociali ed emozioni personali, non è una sterile definizione su un libro di filosofia, è appunto divenire reale...

Due esempi per rendere chiaro il concetto (spero), semplificando i termini della questione, e di molto...partiamo da un esempio di macroeconomia: nel periodo di transizione tra Medioevo e Rinascimento, la linea di fuga era rappresentata dalla borghesia nascente che cominciava a proporsi come alternativa alla linea rigida/molare del sistema feudale.
La borghesia è stata la linea di fuga che ha causato il cambiamento rispetto al feudalesimo, era una deteritorializzazione, ha rappresentato il motore di un divenire reale, che poi, per il movimento altrettanto "naturale" per cui la linea rigida/molare (feudalesimo in questo caso) cerca sempre di riteritorializzarsi, di inglobare una linea di fuga (perchè il potere difende se stesso), a sua volta la borghesia è stata riteritorializzata, è divenuta con il tempo linea rigida/molare, a cui poi si sono alternate altre linee di fuga, a loro volta riterritorializzate e divenute linee rigide (non so, penso alla rivoluzione industriale piuttosto che alla rivoluzione russa marxista/leninista)...

Ed ora un esempio di microsociologia, scendiamo proprio nelle nostre esperienze di vita vissuta quotidiana: prendiamo un cattolico credente, un cattolico di oggi, sappiamo tutti che il suo cattolicesimo, il suo essere cristiano, molto difficilmente coniciderà  con i dettami rigidi della dottrina ufficiale così come è manifestata dal Vaticano, molto probabilmente sarà  favorevole alle coppie di fatto, all'uso dei preservativi, non andrà  sempre a messa, magari ha pure divorziato e si è risposato, eppure non per questo se sente meno cristiano, magari si "confesserà " non particolarmente praticante ma non avrà  molti dubbi sulla sua fede, sul suo essere cristiano (anche se per la dottrina ufficiale lui, di fatto, è al di fuori della Chiesa, non è un cristiano)...ecco un esempio lampante di come, nel nostro quotidiano, siamo continuamente attraversati, ed siamo anzi fautori/attori, motori primi, di tante linee di fuga che si intersecano, sovrappongono, scambiano, con le linee rigide/molari, che regolano le nostre vite, che causano un divenire reale, sia a livello personale, che a livello sociale, perchè prima o poi la linea rigida (Vaticano), dovrà  prendere atto delle linee di fuga, sempre più uguali le une alle altre, che sono sempre più "sentire" comune dei suoi fedeli, che possono anche diventare un "movimento", e cercherà  allora di riteritorializzarle, di inglobarle sulla linea rigida, di farle proprie (ricordiamoci, il potere tende sempre a conservare se stesso), ed avremo allora, prima o poi, una dottrina ufficiale del Vaticano che accetterà  l'uso del preservativo piuttosto che il matrimonio per i sacerdoti...

Come vedete nessuno scontro sociale, niente opposizione cruenta, niente distruzione ed autodistruzione, solo una serie di processi reali, quotidiani, in cui siamo conivolti tutti, di divenire sociale, esposti in una teoria da un filosofo, Gilles Deleuze, e chiedo scusa a chi conosce il pensiero di Deleuze per la mia scarsa capacità  di rendere la complessità  del suo filosofare, sono temi molto importanti, centrali nel dibattito filosofico internazionale, che io invece ho banalizzato forse troppo...

Detto questo mi preme anche dire non ho mai scritto che l'arte è una linea di fuga, tutt'altro, quello che ho scritto è che l'arte è uno strumento per tracciare delle linee di vita, e solo le linee di vita, cioè dei divenire reali, possono essere delle linee di fuga (solo ciò che impatta la realtà  è divenire reale, altrimenti è solo chimera, autoreferenzialità , onanismo), ed anche che l'arte è uno strumento per tracciare delle deteritorializzazioni positive che, in questo processo, trascinaneranno l'arte verso le contrade dell' a-significante, dell' a-soggettivo, del senza-viso, cioè alla fine l'arte NON sarà  più, non esisterà  più così come l'abbiamo sempre concepita, non coinciderà  più con i suoi "termini di partenza, e la cosa mi lascia completamente indifferente perchè appunto l'arte è solo uno strumento, non è mai un fine, e quello che conta non è l'arte ma la linea di fuga, il divenire reale che è stato tracciato attraverso lo strumento-arte...


E scusate la prolissità  ...





Inviato: 23/10/2007 10:55
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Re: Corsi e ricorsi storici
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4/11/2005 13:12
Da Roma
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Marco, l'arte è strumento... ma non è anche prodotto collaterale?
Specie nel mondo contemporaneo, dove esiste l'arte al di fuori della commissione, non è l'inevitabile risultato di una vita vissuta lungo la propria linea di fuga?
L'idea di "strumento" mi sa di atto creativo volontario che "usa" l'arte per arrivare a un proprio fine, fosse anche di conoscenza e di approfondimento.
"Uso" l'arte come strumento per contrappormi alla rigidità , agli schemi, agli organi?

Personalmente mi suona un po' strano, la mia idea è che l'arte "avvenga" mentre si vive e si segue la propria inclinazione, quindi non strumento ma prodotto collaterale e inevitabile.

Tornando a collegarmi con alcuni interventi, Nan Goldin agli inizi "usava" l'arte come strumento di conoscenza, di documentazione, di comunicazione? Oppure semplicemente la sua fotografia "accadeva" mentre lei viveva la sua vita con la macchina fotografica sempre appresso...?

Fer

Inviato: 23/10/2007 11:25
Tessera C.F.A.O. n°14
Gallery (pBase)

** Si ricorda di leggere bene il REGOLAMENTO ** ....
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Re: Corsi e ricorsi storici
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11/3/2004 9:36
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Citazione:
Marco, l'arte è strumento... ma non è anche prodotto collaterale?
Specie nel mondo contemporaneo, dove esiste l'arte al di fuori della commissione, non è l'inevitabile risultato di una vita vissuta lungo la propria linea di fuga?
L'idea di "strumento" mi sa di atto creativo volontario che "usa" l'arte per arrivare a un proprio fine, fosse anche di conoscenza e di approfondimento.
"Uso" l'arte come strumento per contrappormi alla rigidità , agli schemi, agli organi?

Personalmente mi suona un po' strano, la mia idea è che l'arte "avvenga" mentre si vive e si segue la propria inclinazione, quindi non strumento ma prodotto collaterale e inevitabile.



Si, volendo si, puoi usare l'arte per contrapporti all'organismo, e poi ancora si, volendo l'arte avviene mentre vivi, come prodotto collaterale, perchè i due termini, insieme ad altre mille declinazioni dell'arte, non cessano mai di intersecarsi, connettersi, modificarsi.

Mi spiego meglio.

Quando ho letto il tuo intervento mi è subito venuta in mente una frase di Majakovskij, cioè che l'arte non è uno specchio per riflettere il mondo, ma un martello per forgiarlo (o colpirlo/modificarlo, ora non ricordo bene), questo per dirti che l'idea dell'arte come mero strumento per perseguire dei fini che niente hanno a che vedere con l'arte, Deleuze ti direbbe "un uso non artistico dell'arte", l'idea dell'arte - strumento di cui, una volta raggiunti i propri scopi, le proprie "scoperte", ci sbarazziamo lasciandolo inerme al suolo, come un guscio vuoto, vanta una solida tradizione di pensiero e di ricerca.

A cominciare da Rimbaud, che usava la poesia solo come strumento per fare delle "scoperte di ignoto" e "cambiare la vita", che aveva in sommo disprezzo i poeti francesi che frequentà nei suoi soggiorni parigini perchè appunto erano troppo "artisti", troppo "poeti", e che poi, con una coerenza che ancora oggi ci sorprende e ci commuove, a soli venti anni, scoperto quello che si era prefissato di scoprire, abbandona per sempre la poesia e, senza mai più scrivere un solo verso, trascorrerà  il resto della sua vita tra Europa ed Africa commerciando in caffè, stoffe, armi.

Oppure pensa a Carmelo Bene, che ha utilizzato la poesia, la letteratura, il teatro, la musica, per perseguire la sua personalissima ricerca di una "filosofia del negativo", per accedere all'oblio, all'annullamento dell'Io, allo smarrimento nella selva dei significanti, cioè usare una specie di sincretismo delle arti per fare scoperte prettamente corporali, legati principalmente alla voce ed al tema dell'ascolto...e lo stesso lo si potrebbe dire di Artaud, piuttosto che degli Azionisti Viennesi, ma io dico anche di Spinoza e di Nietzsche, che hanno "presagito" una destinazione non filosofica della filosofia...

Detto questo dobbiamo però anche subito dire che questa è una visione dell'arte che si affianca, si interseca, si connette, si sovrappone, ad altre visioni dell'arte diverse ed a volte antitetiche, ed ognuna ha diritto di asilo all'interno della complessità  e delle incessanti stratificazioni del reale e dei processi di divenire, alla fine è come se ci fosse una specie di "macchina astratta" in cui le linee rigide, le strutture, le linee di fuga, il divenire molecolare, i concatenamenti, si intersecano, crescono, si modificano, si raggruppano in una infinità  di rapporti...

Se noti nella frase stessa di Majakovskij sono presenti due termini "opposti", l'arte come strumento/martello che agisce direttamente sul reale e l'arte come riflesso/interpretazione del reale, e noi sappiamo anche che tra questi due termini si agitano e si mescolano infinite variazioni e gradazioni, differenti applicazioni ed utilizzi, anche per gli stessi e più convinti fautori dell'arte come mero strumento per propri fini/ricerche/scoperte, e torno a parlare di Rimbaud, i termini della questione non sono così semplici e non si possono ridurre facilmente nella loro complessità , perchè si, c'è un Rimbaud che aspira ad essere Veggente, "scopritore di ignoto", il Rimbaud dell' "Io è un altro", quello che vuole "cambiare la vita", che disprezza e sputa sull'arte, la poesia, gli artisti ed i poeti, che smette di scrivere in giovanissima età , ma c'è anche il Rimbaud che tenta la carriera letteraria a Parigi, che pubblica le sue poesie, che scrive qualche Illuminazione e qualche verso anche nei mesi successivi l'"abbandono ufficiale" della poesia, ed io non vedo alcuna contraddizione in questo, perchè i passaggi tra le porte e le soglie, il susseguirsi dei concatenamenti, come ho detto sopra è faccenda complessa e stratificata, non esiste linea di fuga senza una linea rigida e senza una linea molecolare, le tre linee si nutrono una con l'altra e si connettono continuamente nel divenire reale...


Poi se ho tempo "ritorno" sulla Goldin, avrei qualche cosuccia da dire ...






Inviato: 24/10/2007 15:02
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Re: Corsi e ricorsi storici

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8/10/2006 17:44
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Nel rapporto con l'espressività  (in questo momento che sia arte o qualcos'altro non fa la differenza) c'è, secondo me, un continuo movimento tra dimensione consapevole e inconsapevole, tra tecnica, forma e contenuto. Potremmo portare decine di esempi che dimostrano di volta in volta il prevalere di un aspetto sugli altri, o la loro totale osmosi. Se lo facessimo non dimostreremmo altro che la grande varietà  con la quale l'arte e l'espressività  di manifestano.
Sarebbe molto interessante vedere la Goldin fotografare una comunità  Amish; credo che ci potrebbe tirar fuori cose che sin d'ora non sono emerse su quella comunità , per la semplice ragione che il suo modo di veder il mondo é il suo e vede cose che altri non vedono. Non solo, gli da anche una forma che altri non le danno - in questo Mxa, forse c'è stato qualcosa di nuovo - .
Per me l'arte/espressività  nascono dentro la vita, diversamente diventano qualcos'altro. Quando progetto un processo comunicativo mi pongo verso la realtà  con un modo d'essere molto diverso da quando fotografo (non sto dicendo che sono un artista, sto cercando di portare anche esempi personali) non foss'altro perchè devo rispondere ad una committenza. Quando fotografo scelgo i tempi, modi, contenuti, tecniche. Cerco di essere creativo nel primo caso, ma so che anche la creatività  nella comunicazione é figlia di tanti contesti culturali ognuno con i propri confini (alcune soluzioni non piaceranno mai, entro determinate variabili di spazio e di tempo). Ma é anche vero che le influenze sono grandi da una parte verso l'altra.
Allo stesso tempo penso che il mercato oggi determini tali e tante condizini che è difficile perlare di cosa sarebbe la Goldin o tanti altri senza un mercato; per carità , anche nel rinascimento c'era un mercato e committenti che determinavano chi e che cosa; oggi c'è sicuramente un mercato che pesa e tanto. Bisognerebbe guardare al di fuori di questo mercato per recuperare senso e significato alle forme d'arte e dell'espressività , anche se dubito che sia un luogo dove i contenuti, i temi, le forme, le tecniche esistano al di la dei confini e delle influenze del sistema nel quale vivono.
bs
marco




Inviato: 24/10/2007 18:39
La fotografia non si domina: corre da sola e l'uomo la segue in ritardo e mai come oggi.
A. Gilardi

www.mbphoto.it
www.flickr.com/photos/marcofluens

..................
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