Credo che quando si dice che "il mezzo non conta" si voglia in realtà  intendere che non conta nel determinare la qualità  estetico-artistica dell'immagine. Ovverossia, se c'è quello che viene spesso definito "il manico", le immagini prodotte saranno valide, sia che usi il più sofisicato e costoso apparecchio di questa terra, sia che usi na scatola di cartone col foro stenopeico.

Mi viene in mente quando, alcuni anni fa, Helmut Newton collaborava saltuariamente con la edizione francese della rivista Photo, come "collaudatore di lusso" di apparecchi fotografici.
Di tanto in tanto gli mettevano in mano qualche cosa, poteva essere una medio formato, una compatta 35 mm, una reflex, una telemetro, una macchina panoramica e gli davano ovviamente carta bianca di relaizzare qualche immagine. Qualsiasi macchina gli dessero, erano sempre immagini buone (io direi spesso fantastiche, ma non mi voglio sbilanciare, perchè magari non sono obbiettivo, quando si parla di Newton ). Ed erano sempre , inevitabilmente, inesorabilmente, immancabilmente , "Newton Style". Era chiaramente lui che guidava il gioco, non certo la macchina.

Però è ovvio che poi ognuno, Newton compreso, si sceglie, tra la sterminata offerta, le attrezzature che, per mlle motivi diversi, ritiene più adatte e funzionali al suo modo e desiderio di esprimersi.
Spesso anche diverse tipologie di apparecchi, in base a come si sente in vena e a quello che vuole fotografare... è normale e non c'è nulla di male. L'importante è avere una idea abbastanza chiara di cosa si vuole ottenere e la capacità  di ottenerlo da quello che si è scelto, o che si ha.

Io e Cristina siamo sempre stati attratti dal discorso sui limiti, limiti da trapassare ed eccedere, limiti da subire ed imporsi, in questo senso la scelta del banco ottico per me e Cristina è stata quasi "obbligata", oserei dire necessaria, con il suo massimo di libertà  espressiva in fase di composizione e tutti i limiti che ti impone invece in fase di ripresa, insomma uno strano ed obliquo miscuglio di potenza e costrizione vincolante, un golfo d'ombra dai confini indistinti in cui i due limiti, quelli ecceduti, "liberati", e quelli subiti, si nutrono uno dell'altro...ti dico con molta sincerità  che per me e Cristina la fotografia nasce, e probabilmente finirà , con il banco ottico, nel senso che non ci reputiamo capaci di fotografare con nessun altro mezzo.

Altro limite potenza/impotenza che perseguiamo è quello relativo agli obiettivi, utilizziamo sostanzialmente sempre una stessa ottica per tutti i nostri lavori, che per noi è un "normale", un pò come te non amiamo circondarci di attrezzatura che non utilizziamo, preferiamo limitare le opzioni piuttosto che ampliarle, l'ideale per noi è avere appunto un solo corpo macchina e/o formato (8x10"), un solo obiettivo, che impariamo a conoscere molto bene, tanto che alla fine diventano una seconda pelle, una estensione naturale di occhi, mani e cuore, e non cerchiamo poi altro, le energie e le ricerche e le risorse preferiamo "investirle" in ambito concettuale piuttosto che nell'attrezzatura.

Ultimamente la scelta del banco ottico però è sempre stata più rivolta ai limiti, alle "impotenze", alle costrizioni vincolanti, che ci impone in fase di ripresa, più che alla sua possibilità  di enorme libertà  espressiva, di traforare ogni limite, ultimamente ci interessa cioè sempre più utilizzare il banco ottico per soggetti e riprese per cui sarebbe il mezzo meno consigliato, per cui è lo strumento di lavoro più sbagliato.

Quindi per noi la scelta dei mezzi è sicuramente importante, è parte indissolubile e struttura portante del nostro processo espressivo, però paradossalemente appunto per questo nella immagine finale il mezzo non conta e non deve contare, su questo sono d'accordo con Luciano, perchè la scelta del mezzo fa appunto parte di un processo che non inizia e non si esaurisce nel mezzo stesso, ma è un processo frammentato e frammentario, composto da tanti aspetti tutti ugualmente importanti e strutturali, che si nutrono l'uno dell'altro ma, allo stesso tempo, si annullano completamente nell'immagine finale così come viene fruita da chi la osserva, quasi come per auto-elisione reciproca, insomma nella fotografia, nella sua espressione più alta di scoperta e di ricerca e di visionarietà  (e questo IMHO vale per tutti i generi di fotografia), davanti all'immagine alla fine quello che conta è solo l'immagine stessa, perchè in questi casi l'immagine finale ti precede, ti attraversa, è quella immagine che tu, fotografo, hai sempre inseguito...

Il mezzo è in mezzo. E' il limite, il confine. La macchina fotografica costutisce un limite fisico ed idealogico tra il fotografo ed il soggetto. E' una barriera alla luce, è l'apertura di un nuovo flusso di luce, è l'impressione, è il nuovo ostacolo che è governato dal fotografo. Ed è per questo che con la macchina fotografica è possibile creare.


Ogni mezzo ha dei limiti, non esistono mezzi illimitati quindi è solo conoscendo il proprio mezzo, qualsiasi esso sia, che si vanno ad esplorare realmente le possibilità  offerte dal mezzo stesso. Sia questa macchina fotografica digitale, chimica, grande formato o un minuscolo sensore di luce di un telefono cellulare.