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Re: Foto in studio/interni: luce flash vs luce continua

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22/6/2009 11:34
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Citazione:

Desert ha scritto:
Intervengo giusto per chiarezza, Ws o Wh non sono unità  di misura della potenza ma bensì dell'energia totale consumata, anche se le "potenze" dei flash vengono a volte indicate appunto in W*s .

La “potenza” indicata dai costruttori/venditori di flash non è mai la potenza secondo il S.I. che andrebbe indicata in Watt o Joule/sec (cioè energia consumata/erogata nell’unità  di tempo, che sarebbe un dato tutto sommato inutile), bensì un valore che esprime “in qualche modo” la quantità  di luce che il flash è in grado di fornire durante il lampo.

Se invece che “in qualche modo”, si volessero fare le cose “in modo preciso”, bisognerebbe parlare di illuminamento, cioè di lux (lumen/mq), che in accordo col S.I. non solo misura la quantità  di luce che cade su un’area piana, ma è pure una grandezza fotometrica, cioè pesata sulla risposta spettrale dell’occhio umano.
Cosa già  fatta notare, giustamente e per ben 2 volte, da Maceric.

Però, per parlare di illuminamento, non basta considerare la torcia flash, ma bisogna considerare anche il sistema di riflessione, cioè ciò che sta attorno alla torcia (parabola, bank, ombrello, ecc.).
Per i costruttori di flash con parabola riflettente integrata (quelli piccolini da montare sulle reflex), è tutto più semplice: infatti possono esprimere la “potenza” del flash col Numero Guida, che è un modo di indicare l’illuminamento facile da comprendere per tutti.
Per chi costruisce flash da studio, dove alla parabola possono essere abbinati vari accessori intercambiabili e diversamente riflettenti, le cose si complicano.
Dato che l'illuminamento e quindi il Numero Guida variano al variare dell’accessorio montato sulla torcia, per esprimere “in qualche modo” la quantità  di luce che il flash è in grado di fornire durante il lampo non resta che fornire una misura (radiometrica) dell’energia che il flash è in grado di rilasciare durante il lampo.
Ma la cosa sarebbe ancora troppo complicata, in quanto, a parità  di generatore, bisognerebbe tenere conto del rendimento della torcia (cioè che percentuale dell’energia elettrica che riceve dai condensatori è in grado di trasformare in energia luminosa), cosa semplice da fare per i monotorcia, ma complicata per i sistemi generatore/torcia separata, dove i generatori possono essere abbinati a vari tipi di torce.

Allora, per standardizzare il tutto, si è deciso di esprimere la “potenza” dei flash indicando l’energia accumulata nei suoi condensatori che al momento dello scatto si scarica nella torcia ionizzando il gas all’interno del tubo flash, facendogli emettere il lampo di luce.

Energia che viene espressa in joule (J) o in watt x secondo (Ws).
(dove con la x intendo il segno matematico della moltiplicazione)
Purtroppo, specialmente i venditori, non vanno troppo per il sottile coi termini tecnici e le sigle, per cui sui cataloghi e nei siti si trova di tutto: dal correttissimo “Stored energy (J)” che ho visto sui depliant Hensel, fino a “Potenza: 250 W/s (J)” letto sul sito di un venditore Elinchrom, raro esempio di frase dove ogni parola o sigla fa a pugni con tutte le altre.
Spesso, queste indicazioni tecnicamente scorrette disorientano l’utilizzatore.




Citazione:

Desert ha scritto:

1W = 1 Joule/1 sec

1000 W*s = 1000 Joule/sec * 1 sec = 1000 Joule

cioè la luce in oggetto consuma 1000 joule se la lascio accesa per un secondo.

1000W*h = 1000 Joule/sec *3600 sec = 3.600.000 Joule

cioè la luce in oggetto consuma 3.600.000 joule se la lascio accesa per un'ora.

Ma in entrambi i casi si tratta di una lampada da 1000W!!!



Desert, se in entrambi i casi si trattasse di una lampada da 1000W, le due sorgenti (cioè il flash da 1000Ws e la continua da 1000Wh) farebbero la stessa luce, non credi?
Invece la domanda di Facavek e Archifoto (almeno per come l’avevo interpretata io) era proprio sul fatto che un flash da 1000 facesse molta più luce di una lampada continua sempre da 1000.
Giungi a questa conclusione errata, perchè parti da un presupposto errato quando dici: la luce in oggetto consuma 1000 joule se la lascio accesa per un secondo.
E’ una lampada per luce continua da 1000W, o 1000Wh, che consuma 1000 joule in 1 secondo.
Un flash da 1000 Ws, o da 1000 J, non consuma 1000 joule in 1 secondo: li consuma nel tempo di durata del lampo! Che è molto inferiore a 1 secondo… ecco perché fa molta più luce.



Citazione:

Desert ha scritto:
Dobbiamo parlare invece di energia erogata nell'unità  di tempo...

Parlando di flash, è proprio ciò che non bisognerebbe mai fare..., altrimenti si torna alla potenza reale (in watt), che come ho detto all’inizio è un dato pressoché inutile. Provo a fare un esempio per far capire questa inutilità :
Se ho un flash da 1000Ws con una durata del lampo di 1/800 di secondo (cioè un flash che in 1/800 di secondo mi spara fuori 1000 joule), nell’unità  di tempo, cioè in un secondo, mi sparerebbe fuori 800.000 joule, e quindi la sua potenza risulta di 800.000 watt.
Se ho un flash sempre da 1000Ws ma con durata del lampo di 1/1600 di secondo (cioè un flash che mi spara fuori sempre 1000 joule ma in 1/1600 di secondo), nell’unità  di tempo, cioè in un secondo, mi sparerebbe fuori 1.600.000 joule, e quindi la sua potenza risulta di 1.600.000 watt, cioè doppia rispetto al primo.
Ma se li uso per fare una foto, mi richiederanno la stessa esposizione. Uno sarà  più veloce dell’altro, cioè mi consentirà  di fermare movimenti più rapidi, ma la loro “potenza”, intesa come quantità  di luce che il flash è in grado di fornire durante il lampo, sarà  la stessa, cioè 1000 Ws.

In altre parole, quando si parla di flash, i tempi e le grandezze ad esso collegate (come la potenza reale) è meglio lasciarli perdere. Dopo tutto si scatta sempre con tempi di otturazione uguali o superiori al sincro-flash, quindi “lì dentro” che il lampo avvenga in 1/700 o in 1/5.000 di secondo, ai fini dell’esposizione non cambia nulla. Non per niente il Numero Guida tiene solo conto del diaframma e della distanza.



(... nella speranza di aver contribuito a fare un po' di chiarezza, e non ad incasinare ulteriormente le cose!)



Citazione:

Desert ha scritto:
ci sono anche produttori nostrani a offrire qualcosa del genere...

L’unico “nostrano “ che mi viene in mente è la AEF di Ferrara
http://www.illuminatori-aef.com/

Inviato: 1/4/2010 22:54
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Re: Foto in studio/interni: luce flash vs luce continua

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rictro ha scritto:
La mia affermazione "vincitore a mani basse" per l'uso del flash deriva dal fatto che ho interpellato (per mia assoluta curiosità ) alcuni tra i maggiori fotografi di stock (micro and macro) ed altri professionisti, gente che si mostra e che mostra, che non usa i flash di ebay, che non ha l'atteggiamento del guru, che non frequenta i forum e non crea tutorials e, soprattutto, che non ha la presunzione tipica dell'italiano, gente che si mette in discussione nonostante la loro indubbia capacità .


Non sono sicuro di capire quello che dici, e mi viene anche il dubbio di non aver capito un bel niente la volta prima.

Se, per caso, provo ad azzardare, quella frase: non c'è storia, l'uso dei flash vince a mani basse si riferiva al risultato del sondaggio che hai fatto tra quelle persone colme delle tante virtù che elenchi, nel senso che costoro usano tutti il flash e non le luci continue, allora c’era ben poco da dissentire, né con forza né sommessamente, in quanto si trattava di “ricette” personali, rispettabilissime.

Però, per il modo in cui era scritta, e in special modo suffragata dall’ultima frase: forse per lavori/oggetti di non grande pregio la luce continua puà anche andare bene , la cosa non assomigliava tanto ad una “ricetta”, ma piuttosto ad una di quelle “verità  da forum” che tutto sono meno che delle verità .
Da qui il dissenso.

Inviato: 1/4/2010 22:22
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Re: Foto in studio/interni: luce flash vs luce continua

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archifoto ha scritto:

Facavek uso 1000w che sono una enormità  in più di un mille watt a luce continua non so spiegartelo in modo più "matematico".

Col flash usi 1000 Ws (watt x secondo), con le luci continue usi 1000 Wh (wattora, cioè watt x ora).
In un'ora ci sono 3600 secondi.

Inviato: 30/3/2010 17:27
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Re: Foto in studio/interni: luce flash vs luce continua

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rictro ha scritto:

devo dire che dai vostri commenti, da quelli che mi sono arrivati in forma privata, e da un altro forum non c'è storia,l'uso dei flash vince a mani basse e con motivazioni tecniche ineccepibili.
.......
Forse per lavori/oggetti di non grande pregio la luce continua puà anche andare bene.


Di fronte a simili affermazioni, non posso che dissentire con forza.

Innanzitutto ho notato che il proclamare un “vincitore a mani basse” da un confronto, è un tipico fenomeno da frequentatori di forum, dovuto quasi sempre a miopia spesso condita da una buona dose di incompetenza (non ce l’ho assolutamente con te Rictro, che il fatto stesso di aver aperto la discussione per chiedere lumi ti esclude dalla categoria).
Che il “vincitore a mani basse”, nell’immaginario del fotoamatore, tra la luce flash e la luce continua sia quasi sempre il primo, è piuttosto semplice da comprendere. Si comincia col flash attaccato alla reflex, e quando si decide di passare a “luci da studio” generalmente ci si butta nelle peggiori cinesate che si trovano su e-bay a 29,99 euro, che all’interno di riflettori approssimativi e ballerini racchiudono i più orrendi tubi aggrovigliati che l’industria delle fluorescenze abbia mai prodotto per soddisfare le esigenze del basso consumo.
Ovvie, quanto sbagliate, le conclusioni che si traggono.
Conclusioni che spesso vengono generalizzate, rimbalzano sui forum, e magari costituiscono l’ossatura di tutorial, experience, o discussioni in evidenza, sovente veri e propri turpiloqui tecnici seguiti da una valanga di messaggi tipo “Grazie, finalmente ho capito”, “Sei un grande”, “Concordo in pieno”, indirizzati al guru di turno autore e responsabile dello strazio.
Tutto questo solo per dire che non sempre rivolgendosi ai vari forum si hanno risposte corrette.

L’argomento iniziale che proponi: “impressioni/preferenze/motivazioni sull'uso della luce flash o continua nelle foto di studio/interni” potrebbe essere il titolo di un libro piuttosto sostanzioso.

Una “foto in studio” e una “foto in interni” possono essere situazioni diversissime. Si passa da un ambiente totalmente controllato con a disposizione la potenza elettrica necessaria, ad un ambiente incognito dove generalmente la luce artificiale deve integrare quella esistente, che a sua volta puà essere al tungsteno, alogena, fluorescente (mai con tubi per usi fotografici), diurna, con potenze disponibili che vanno dall’uso domestico striminzito alle centinaia di kW di un ambiente industriale.
Anche le luci continue per scopi fotografici sono di almeno 3 tipologie, alogene, fluorescenze, e scarica (lasciando stare per ora i Led, che a mio avviso hanno ancora un po’ di strada da fare anche se saranno sicuramente la soluzione del futuro), con caratteristiche molto diverse l’una dall’altra.
Mi pare quindi ovvio che non possa esserci una risposta univoca, e men che mai un vincitore a mani basse.


La più grande differenza tra la luce flash e quella continua è che mentre la prima permette/impone tempi di esposizione brevi, la seconda impone tempi di esposizione più lunghi.

Quindi, se servono tempi di esposizione brevi per bloccare il movimento, i flash diventano una scelta obbligata (se invece servono tempi lunghi per effetti di mosso, è d’obbligo la luce continua).
Ma non è giusto generalizzare sul fatto che i flash siano le uniche luci adatte a fotografare scene animate. Specialmente al giorno d’oggi, dove grazie alle buone sensibilità  del digitale e alle alte efficienze unite alla bassa emissione termica delle lampade a scarica, molte situazioni di ritratto, glamour o beauty, ingestibili con pellicola e alogene, diventano affrontabili in luce continua. Non per niente una delle più blasonate aziende produttrici di flash, la Broncolor, affianca da anni ai propri lampeggiatori una linea di illuminatori HMI, e tutti i grandi produttori di illuminazione per cinema e TV (Arri, Ianiro, Strand, Mole-Richardson,...) hanno in catalogo illuminatori HMI “piccolini” studiati proprio per la fotografia. Ho visto un servizio di biancheria intima femminile realizzato in digitale all’interno di un sottomarino da Florian Lohmann utilizzando proprio delle HMI, vecchissime tra l’altro visto che il fotografo parla di tremolio della luce (da tanti anni sono ormai tutte dotate di ballast elettronici che le rendono flicker-free). Ed il fotografo parlava di tempi di esposizione di 1/60 o addirittura 1/125 di secondo, quindi adatti anche ad un animato non troppo... dimenato!

Credo ben poco anche alla questione sollevata da Valerio sulle facce con sguardo di un Husky o di un Malamut che avrebbero i modelli ripresi in luce continua.
Il cinema e la televisione, da sempre, prima con le alogene e poi con le HMI, vivono di luce continua. Ed anche buona parte della vita reale si svolge alla luce del sole, continua e ben più forte di quella della maggior parte degli illuminatori. Per cui…
Poi, ovviamente , ci sono casi limite… se fotografo un modello con 2 kW di alogena a un metro dal viso posso capire l’espressione da Dobermann inferocito, ma per questi casi c’è il Tribunale dell’Aia…


Una delle false credenze che è meglio sfatare subito, è che coi flash si ottengano colori migliori.
L’indice di resa cromatica è lo stesso che nelle alogene, pur variando la temperatura di colore. E nelle lampade a scarica (con le HMI a ioduri metallici) e in quelle a fluorescenza (coi tubi multifosfori di ultima generazione), è vicinisssssssimo. Quindi… stessi colori!

I flash emettono molti UV, e quindi devono essere filtrati (a livello di torcia), le alogene molti IR, e quindi scaldano.
Ma non è giusto generalizzare sul fatto che le luci continue consumano e scaldano più dei flash, in quanto le luci continue a fluorescenza e a scarica consumano e scaldano molto meno delle alogene. Non solo, ma in tanti casi le lampade pilota da 650 W delle grosse torce flash vanificano il fatto di non scaldare; per contro quelle da 250 W o 150 W di cui sono dotati i flash più piccolini, una volta ridotte a un quarto o a un ottavo della loro potenza si rivelano spesso insufficienti per poter lavorare agevolmente all’inquadratura.

I flash (da studio) costano molto di più di simili illuminatori alogeni..
Ma non è giusto generalizzare sul fatto che i flash costano di più delle luci continue, in quanto un buon set di luci continue a scarica costa almeno come i corrispondenti flash.

I flash, con la loro temperatura colore pari a quella della luce diurna, sono più adatti a riprese in interni (diversi dallo studio).
Ma non è giusto generalizzare nemmeno questo concetto, in quanto, oltre al fatto che luci continue fluorescenti e a scarica hanno anch’esse temperature colore pari a quella dei flash per cui si integrano benissimo con la luce diurna, quando la luce da integrare è invece quella dell’illuminazione artificiale presente, i punti luce aggiunti vanno comunque filtrati. E poi vedi l’ottimo esempio di Valerio (sala di un castello) dove le sorgenti più naturali e facili da usare sono proprio le alogene.

Per quanto riguarda la fotografia in studio di oggetti inanimati, personalmente ritengo la luce continua più versatile di quella flash, in quanto offre migliori possibilità  di gestione della luce e l’assoluto controllo sul risultato finale dell’illuminazione, cosa non sempre possibile coi flash. Concetto, quest’ultimo, che aveva ben sintetizzato Falcopardo quando ha scritto: nonostante tutto le sorprese sono frequenti nonostante le luci pilota. Riflessi inattesi, ombre non previste,…
Le lampade pilota sono comunque una simulazione della torcia, non sempre precisa. Un esempio per tutti: i classici spot a lente di Fresnel. Io li uso molto, ne possiedo una decina con potenze di 500, 1000 e 2000 W. La regolazione del fascio luminoso, abbinata a quella della bandiera, è precisissima con lampade alogene o a scarica. Se ci metti invece una sorgente flash, dove torcia e lampada pilota hanno posizioni e dimensioni diverse tra loro, avrai che il fascio di luce prodotto dalla torcia è differente da quello prodotto dalla lampada pilota, essendo l’illuminatore in questione un sistema ottico formato da uno specchio e una lente, e tale differenza sarà  tanto più accentuata quanto più l’illuminatore è piccolo. Se fotografi un sofà  la cosa è ininfluente, ma se hai una composizione di oggetti relativamente piccoli alla fine ti ritrovi ombre non previste.
Inoltre, per una buona previsualizzazione dell’effetto finale, le lampade pilota non solo devono seguire la variazione di intensità  delle singole torce, ma devono avere un’intensità  massima proporzionale all’intensità  massima della torcia stessa per tutti i punti luce, e ciò, in set con illuminazione particolarmente complessa, non sempre è possibile.
Mi è successo alcune volte di dover integrare l’illuminazione con sorgenti non convenzionali, quali ad esempio un proiettore di diapositive, un fanale d’automobile, una torcia elettrica, o addirittura una volta la luce diffratta dal reticolo concavo di un monocromatore, o di dover utilizzare tecniche di luce pennellata. Tutte cose che i flash non avrebbero permesso.
Alle volte in studio succede di dover affrontare situazioni di illuminazione non risolvibili con quel che si trova in commercio, ed allora il fotografo si deve arrangiare costruendosi ad hoc quel che gli serve (alcuni, in passato, poi ci hanno preso gusto... come Lino Manfrotto o Vincenzo Silvestri). Ho costruito svariati box, a volte piccolissimi, a volte dalle forme strane, sempre per affrontare al meglio una determinata situazione. Fare queste cose, con lampade alogene, è uno scherzo. Coi flash è molto più complicato. Ricordo di una strip light lunga 2 metri e larga non più di 20 cm. Ho dovuto mettere 6 lampade alogene lunghe per avere una buona uniformità  sulla lunghezza. Quanto mi sarebbero costate 6 torce e che struttura avrei dovuto costruire per sopportarne il peso?
E la famosa torcia-matita? Con le alogene si chiama “portalampada”, ed è un blocchetto di ceramica che costa 2 euro e di volta in volta si attacca al supporto più opportuno magari costruito ad hoc...

Vorrei concludere ricordando che i più importanti costruttori di soft banks universali (cito solo l’americana Chimera che ha in catalogo almeno una ventina di modelli delle forme e dimensioni più disparate) offrono i medesimi prodotti con adattatori sia per torce flash che per illuminatori a luce continua (una cinquantina per torce e oltre 300 per illuminatori al tungsteno e HMI), e che tutti i costruttori di banks metallici offrono sia l’elettrificazione in continua sia quella flash.
Se uno dei due sistemi vincesse davvero a mani basse sull’altro, pensate che si fabbricherebbe/venderebbe/utilizzerebbe tutta sta roba?



Inviato: 30/3/2010 17:22
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Re: decentrabile si, decentrabile no....

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Falcopardo ha scritto:

Inizialmente mi ero entusiasmato al basculaggio per la grande profondita' di campo ottenibile ma non sono riuscito a capire quanto tale profondita' sia dovuta alla funzione o all'ottica molto corta. Infatti ho notato i particolari nitidi in primo piano e nello sfondo anche con il solo decentramento...

Un 24 mm a f/11 in iperfocale mette a fuoco da 85 cm a infinito.
Ovviamente dipende che cosa si fotografa, ma personalmene sono del parere che il basculaggio su grandangolari estremi serva in ben poche occasioni.

Inviato: 13/3/2010 0:49
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Re: Pentax 645D, stavolta sul serio

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Claudio53 ha scritto:
NOn è che le vecchie ottiche Nikon siano inusabili sul formato Fx. Però se vuoi il meglio occorre prendere quelle nuove. Ottiche che su pellicola erano impeccabili, sui sensori talvolta hanno problemi, soprattutto ai bordi. Il Nikkor 18/3,5 AiS, che su pellicola va benissimo, sulla D3 è letteralmenre inusabile (cadute di luce enormi), anche se questo è il caso limite di incompatibilità .

Sono d'accordo con te se parliamo di zoom, gli unici dove è stata veramente fatta della ricerca con delle innovazioni dopo l'avvento del digitale.
Sui fissi ci andrei piano. Non ho esperienza diretta, ma ho sentito un sacco di gente, sia sui forum che dal vivo, che usa con grande soddisfazione fissi Ai e AiS sul formato pieno. D'altra parte i fissi di nuova generazione non hanno certo stravolto gli schemi ottici, limitandosi a qualche accorgimento per renderli (un po') più telecentrici per ovviare alla vignettatura del sensore, e allo strato antiriflesso sull'ultima lente che ora si trova di fronte alla superficie del sensore, molto più speculare rispetto a quella di una pellicola.
Sull'"inusabilità " del 18/3,5 AiS ci sarebbe molto da discutere. Appena uscito il formato Fx, sulla cui inopportunità  si era scritta negli anni precedenti sui forum nikon di tutto il mondo forse la più grande quantità  di imbecillità  che la storia della fotografia ricordi, un tale ebbe la buona idea di provare (in modo corretto) un gran numero di "vecchi" Nikkor sulla neonata D3. Costui non era un fotoamatore qualunque, ma si chiamava Bjorn Rorslett. Sul 18/3,5 scrisse che non aveva mai visto una simile vignettatura a tutta apertura. Poi scrisse anche che chiudendo di un paio di diaframmi le cose andavano meglio, ecc. ecc. La notizia fu subito ripresa e riportata, magari in modo frammentario, dai guru di molti forum, e come tale rimbalzata da centinaia di utenti quotanti, la maggior parte dei quali non aveva mai visto l'obiettivo in questione.
Il sottoscritto, che quell'obiettivo lo usa dal 1982, ovviamente su pellicola, sa benissimo da circa un quarto di secolo che a tutta apertura vignetta, e sa benissimo che chiudendo un paio di diaframmi la vignettatura si riduce molto. Che sono le cose che in fondo ha detto Rorslett.
Chiaramente se un obiettivo a tutta apertura vignetta molto su pellicola (tutti gli obiettivi del mondo, chi più chi meno, vignettano, pur non sapendo se dietro hanno una pellicola o un sensore), sul sensore che ha una sua vignettatura intrinseca vignetterà  ancor di più. Ma da qui ad asserire che è inusabile ce ne passa...
Se invece della vignettatura guardiamo ad esempio la distorsione ottica, e lo confrontiamo col celebratissimo 14-24, scopriremo che quest'ultimo al confronto sbarilotta da far paura..., ma tanto col sensore poi c'è fotoscioppete...

Inviato: 13/3/2010 0:39
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Re: SCANSIONE DIA 4X5 VUESCAN

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VRicciardi ha scritto:
Scusate, ma non ho MAI sentito dire che siano MAI esistite pellicole Kodachrome in pellicola piana.
Se qualcuno di voi ha delle evidenze certe del contrario, per me sarà  naturalmente non un disdoro ma solo una gioia imparare una cosa nuova.

Per esistere esisteva, ma le foto piu recenti che ho visto risalivano, mi pare, al 1946.
Credo sia stata tolta di produzione con l'avvento dell'Ektachrome, che vanta un processo di sviluppo assai più semplice.

Inviato: 12/3/2010 23:33
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Re: come si comporta un'ottica allontanandola dal corpo macchina ?

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palmerino ha scritto:

Per la diffrazione possiamo anche dire che un ottica con uno schema molto telecentrico sarebbe meno influenzata dalla diffrazione rispetto ad un' ottica classica.

Sempre perché i raggi che "lambiscono" i bordi del foro del diaframma...saranno meno "sollecitati" se vicini alla perpendicolare del sensore o pellicola.




No Palmerino, non è esatto, anzi nella maggior parte dei casi vale il contrario.

La diffrazione non puà essere spiegata con l’ottica geometrica, ma è un tipico fenomeno dell’ottica fisica dove la luce si propaga per fronti d’onda (i raggi di luce che viaggiano dritti e che vengono rifratti, sono solo una semplificazione molto comoda per la trattazione dell’ottica geometrica, ma rappresentano solo le perpendicolari a questi fronte d’onda). La trattazione di questo fenomeno puà essere fatta matematicamente con quella che viene detta formula di Rayleigh per la diffrazione, ma nei casi reali si adottano quasi sempre o l’approssimazione di Fresnel o l’approssimazione di Fraunhofer (ancora modi per semplificare le cose).
La prima dà  buoni risultati solo nella regione molto vicina al piano di diffrazione, e più precisamente a distanze dell’ordine di 10 volte la lunghezza d’onda della luce in questione.
I casi come il nostro, invece, dove il piano di osservazione (piano pellicola/sensore) si trova a distanza molto più grande dall’apertura diffrangente (diaframma), debbono essere trattati con l’approssimazione di Fraunhofer, che non tiene conto di angoli ma solo di distanze. Intendevo questo quando nei post precedenti dicevo che l’intensità  della diffrazione dipende solo dalla distanza del diaframma dal piano immagine (ovviamente a parità  di diaframma e di lunghezza d'onda della luce in questione).

Molto sovente nelle costruzione telecentriche si tende a distanziare l’ultima lente dell’obiettivo dal piano immagine, e con essa molto spesso si distanzierà  anche il diaframma (unico responsabile della diffrazione) per cui a parità  di tutto il resto la diffrazione aumenterà .

Inviato: 21/2/2010 21:01
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Re: Comprare pellicole a basso prezzo? quali negozi online?

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Mah..., visto che sei di Milano, e considerati i quantitativi, proverei a sentire la Unionfotomarket in v.le Certosa. In Italia, anche on-line, non credo che le trovi a meno.
All'estero non saprei, probabilmente sì...

Inviato: 17/2/2010 22:50
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Re: come si comporta un'ottica allontanandola dal corpo macchina ?

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galago ha scritto:
In prima approssimazione il diametro del Circolo di Confusione (CdC) per una lente ideale (modello che prescinde dalle aberrazioni, e tiene conto della sola diffrazione) e' proporzionale al denominatore dall'apertura relativa di un obiettivo. Ovvero con una buona approssimazione si puo' affermare che il diametro del CdC per diffrazione di una lente a f/16 sara' doppio di quello a f/8, e la meta' di quello a f/32. Vedere la prima tabellina in questo articolo .

Il circolo di confusione dovuto alla sola diffrazione che citi, viene chiamato comunemente Disco di Airy.
In realtà , a differenza delle altre aberrazioni che trasformano un punto geometrico infinitesimo in un cerchietto o in un ovale, la diffrazione trasforma un punto in una figura ben più complessa chiamata Pattern di Airy, formata da una macchia circolare centrale contornata da anelli concentrici più grandi. L’intensità  luminosa di questi anelli esterni, coi valori di focali e aperture in gioco in campo fotografico (anche con un 14mm chiuso a f/32) sono sempre di qualche % rispetto all’intensità  luminosa del picco centrale, e quindi in pratica del tutto ininfluenti sulla qualità  dell’immagine. Quindi si prende sempre e solo in considerazione il picco centrale, chiamato in fotografia Disco di Airy.
Dato che l’intensità  luminosa all’interno di questo picco non è costante ma è una gaussiana, non c’è un metodo preciso per stabilirne il diametro.
Una delle formulette più usate, è quella che lo lega all’apertura f/ con questa relazione:

diametro Disco di Airy (in micron) = 1,125 x f/

che ci dice, ad esempio, che un qualsiasi obiettivo diaframmato a f/22, senza considerare nessun’altra delle sue aberrazioni, trasformerà  l’immagine di un punto di dimensioni infinitesime nella scena reale, in un cerchietto di diametro di circa 25 micron (1,125 x 22) sull’immagine fotografata.
In altre parole, anche un obiettivo perfetto privo di qualsiasi aberrazione ottica e con una risolvenza infinita, se diaframmato a f/22 non riuscirà  a fornire dettagli più piccoli di 25 micron, cioè non riuscirà  a risolvere più di 40 linee/mm, a causa della diffrazione. Per questo motivo gli obiettivi usati per le litografie in microelettronica che devono risolvere dalle 400 a oltre 1000 linee/mm (con luce UV) hanno aperture spaventose, pensiamo solo ai mitici Ultra Micro Nikkor 225mm f/1 e 300mm f/1,4 degli anni ’60.

La formuletta riportata sopra e le altre simili, danno comunque valori approssimati, in quanto per avere valori esatti bisognerebbe, come ho detto nel post precedente, conoscere la distanza del diaframma dal piano immagine. Tale approssimazione è buona per obiettivi con costruzione classica, tipo quelli per Grande Formato (tolte le rare eccezioni di teleobiettivi), dove a parità  di apertura tutti gli obiettivi dal super grandangolare al lungo fuoco avranno la stessa diffrazione.

Se parliamo invece degli obiettivi delle normali reflex, dobbiamo fare i conti col fatto che i grandangolari sono tutti retrofocus, e i “lunghi fuochi” sono tutti tele. Ne deriva che la distanza del diaframma dal piano immagine non ha più nulla a che vedere con la focale dell’obiettivo, e la formuletta di prima e le tabelline che ne derivano vanno a farsi benedire. Il fatto che tale distanza, rispetto alla focale, aumenti parecchio nei grandangoli e diminuisca nei teleobiettivi, penalizza i primi sulla diffrazione. Cioè, ad esempio, un 24mm a f/16 soffrirà  di una diffrazione molto superiore rispetto ad un 300mm sempre a f/16.






Citazione:

Falcopardo ha scritto:

Se ho ben capito, ai forti allungamenti c'e' ben poco da fare:
A tutta apertura si ha una ridicola profondita' di campo, se si diaframma si guadagna qualcosa in profondita' e si perde inevitabilmente in risoluzione.

Purtroppo... hai ben capito! Non c'è niente da fare...

L'unica soluzione per avere grandissima profondità  di campo e altissima risoluzione è... il microscopio elettronico a scansione
...sempre che ci si accontenti del bianco e nero

Inviato: 17/2/2010 22:43
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Re: come si comporta un'ottica allontanandola dal corpo macchina ?

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VRicciardi ha scritto:
Circa l'influenza del tiraggio (con conseguente alterazione del numero/f effettivo) sulla diffrazione proprio non sarei d'accordo minimamente.
........
Contano solo diametro del buco, e lunghezza d'onda in gioco.
Le onde elettromagnetiche nulla sanno di che tiraggio abbiamo impostato sul nostro soffietto.



Citazione:

palmerino ha scritto:
Il problema è che allungando il tiraggio le frangiature ai bordi del diaframma influenzeranno sempre più la nitidezza di tutta la foto.

E' come quando un' apertura di una scogliera permette alle onde di frangersi sulla spiaggia poco distante.
Più la spiaggia disterà  dalla scogliera e più l' effetto causato dai bordi della stessa si noteranno...nella battigia.


Dite entrambi delle cose giuste, ma incomplete, tanto da apparire in contrapposizione tra di loro, mentre, in un certo qual senso, si completano a vicenda.

Se consideriamo che in fotografia la luce che attraversa un obiettivo è praticamente sempre policromatica, possiamo addirittura eliminare la variabile “lunghezza d’onda”. Ed allora possiamo affermare che l’entità  del fenomeno della diffrazione in un certo obiettivo è solo funzione del diametro del foro del diaframma. Ma se vogliamo considerare gli effetti deleteri che questo fenomeno ha sulla qualità  dell’immagine, in particolare sulla risoluzione o sulla nitidezza, allora dobbiamo considerare anche l’effetto ben esemplificato da Palmerino con le onde sulla battigia. Se ci fermassimo al diametro del foro, potrebbe sembrare, ad esempio, che un 800 mm diaframmato a f/32 (diametro del foro = 25 mm) abbia la stessa diffrazione di un 50 mm diaframmato a f/2 (diametro del foro ancora di 25 mm), il che suonerebbe assai strano.
In pratica il modo più corretto per esprimere l’entità  dell’aberrazione di diffrazione, l’unica che dipende dal diaframma e non dalle lenti, è quello di dire che dipende solo dal diametro del diaframma e dalla sua distanza dal piano immagine.
Con una certa approssimazione, sovente si usa dire che dipende solo dall’apertura, in quanto l’apertura f/ tiene conto sia del diametro del diaframma sia della sua distanza dal piano immagine per messa a fuoco all’infinito, più o meno corrispondente alla focale dell’obiettivo (approssimazione che ovviamente è buona solo per obiettivi “classici”, mentre per costruzioni tele o retrofocus risulta assai scadente).

Sul discorso dell’allungamento del tiraggio alle brevi distanze di messa a fuoco, se da una parte è vero che va ad aumentare gli effetti deleteri della diffrazione sull’immagine, è altrettanto vero che contemporaneamente va ad aumentare gli effetti deleteri di quasi tutte le altre aberrazioni, per cui il contributo della diffrazione alla perdita di qualità  rimane praticamente costante all’aumentare del tiraggio.

Inviato: 16/2/2010 23:18
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Re: Ottenere un sensore medio formato con Nikon DSLR

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VRicciardi ha scritto:
Se posso forse essere utile, Leoni Fototecnica (storico fotoriparatore romano dalle parti di via dell'Aeroporto) poi specializzatosi nella assistenza e nelle modifiche personalizzate aftermarket a grossi microscopi binoculari della Kaps, degli aggeggioni che utilizzano i dentisti in impiantologia) qualche anno fa ha presentato al Fotoshow di Roma un aggeggio ben più interessante e versatile, che prevedeva l'utilizzo di un ottica Hasselblad (tipicamente un grandangolare) montata su una piastra; detta piastra, fissata su cavalletto e orientata con precisione una volta per tutte per ogni set di scatti, ne aveva collegata dietro un altra decentrabile in tutte le direzioni in modo predeterminato; seconda piastra cui si attaccava una Nikon formato APS-C.

Anche qui l'ottica restava spazialmente ferma mentre il corpo macchina si spostava - col piano sensore sempre parallelo a se stesso - in modo micrometrico ma in sei posizioni distinte predeterminate e senza ruotare, ottenendo sei scatti (da esporre in manuale ovviamente per evitare variazioni di regolazione applicati in automatico dalla macchina che potevano essere riassemblati in postproduzione in maniera perfetta e senza alcuna vignettatura percettibile da dover correggere, ottenendo ad es. da un sensore da circa 6 Mpx (all'epoca, es. una D70) una immagine finale da 36 Mpx che sfruttava il grande cerchio di copertura dell'ottica per medio formato.

Se ti interessa saperne di più, posso cercare di ritrovarti qualche riferimento (a me la cosa non interessà dal momento che esigenze di copertura davvero ampie del campo le risolvo in pellicola senza tanti complimenti).

Ma al confronto di quel che vidi (e degli esempi in gigantografia presentati alla Fiera di Roma) quello di Nital ci fa la figura del giocarello per farci giocare il pupo.


Temo però che la resa/potere risolvente di un'obiettivo studiato per il 6x6 su un formato così ridotto come il DX Nikon sia assai deludente, sicuramnete peggiore di quella che si puà ottenere con un Nikkor TSE studiato per il formato 24x36.

Inviato: 29/1/2010 13:54
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Re: illuminazione: nuove lampade al neon potentissime

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danipen ha scritto:
si però le migliori lampade a spettro continuo D50 sono i neon della just che riproducono tutto lo spettro solare
e sono lo standard di fatto delle luci cromaticamente corrette per l'osservazione di stampe etc
certo hanno una luminosità  tale che va bene per osservare le stampe e non per fotografare...
ovviamente sono care rabbiose (se uno ne ha bisogno di molte per arrivare a valori di illuminazione che permettano di fotografare), ma esistono!

I tubi fluorescenti di cui parli sono ottimizzati per approssimare il meglio possibile l’Illuminante D50, che è quello raccomandato dalle norme internazionali per la visione di stampe e prepress. La loro potenza luminosa è del tutto simile agli altri tipi (è soprattutto funzione delle dimensioni del tubo), ed anche i costi credo siano allineati. Ma non vengono impiegati da nessun costruttore di illuminatori da studio, un po’ per la temperatura colore di 5.000 K non ottimale per eventuali miscelazioni con altre fonti o per pellicola, e un po’ per il loro indice di resa cromatica che generalmente si ferma a 95. Quello dei tubi che ho citato prima, ottimizzati invece proprio per la ripresa fotografica o video, arriva a 98 e fornisce senz’altro risultati migliori in ripresa.


Citazione:

VRicciardi ha scritto:
Aumentare i "tipi" dei c.d. fosfori aumenta il numero delle "righe" (o allarga le singole bande, o tutte e due le cose insieme).

Con 3 fosfori variamente miscelati si riescono ad ottenere tutte le temperature di colore, ma con evidenti picchi sovrapposti allo spettro continuo che abbassano la resa cromatica della luce emessa. I tubi multifosfori sono nati proprio per aumentare questa resa, e lo fanno spianando o bilanciando questi picchi. Allo stato attuale, almeno per quanto ne so io, si è arrivati ad un indice di 98, che è un valore di tutto rispetto.
Se ad un’analisi spettrofotometrica appare un maggior numero di picchi, poco importa. Se l’indice di resa cromatica, che si basa sul modo di vedere dell’occhio e dalla pellicola/sensore (tristimolo) migliora, allora ben vengano i multifosfori.




Citazione:

VRicciardi ha scritto:
In fotografia di opere d'arte le lampade fluorescenti non le usa nessuno; pure, le hanno provate tutti, ma dico tutti. A cominciare, in Italia, dalle windowlights di LuPo, che hanno spopolato per un breve periodo fra coloro che si illudevano di sostituirci un flash o un illuminatore ventilato completo di softbox

Bèh..., detta in questo modo sembra che gli illuminatori a fluorescenza per fotografia siano un flop di qualche anno fa e niente più.
Posso anche essere d’accordo con te che nella riproduzione di quadri dove la fedeltà  cromatica non è mai abbastanza, questi illuminatori si possano rivelare insufficienti, ma tale tipo di attività  che percentuale occupa nel panorama complessivo della fotografia professionale da studio?
I banks (li chiamo così perché Windowlight identifica un altro tipo di bank) della Lupo (lo scrivo così perché il nome dell’azienda coincide col cognome del proprietario nonché del nonno fondatore), che come quelli di altri concorrenti stranieri utilizzano tubi fluorescenti daylight ad alto indice di resa cromatica, continuano ad essere costruiti venduti ed utilizzati da fotografi professionisti in una moltitudine di applicazioni che vanno dalla cerimonia, al ritratto, alla moda, all’arredamento, allo still life, ecc. fornendo risultati praticamente indistinguibili da altre sorgenti.
Il problema di questo tipo di illuminazione, è caso mai quello che non si riescono ad ottenere degli spot decenti (come potenza/dimensioni). La stessa Lupo, ad esempio, nei suoi spot Fresnel ha recentemente sostituito il primitivo tubo fluorescente aggrovigliato con una lampada a scarica di eguale temperatura colore.

Inviato: 29/1/2010 13:47
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Re: illuminazione: nuove lampade al neon potentissime

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L'indice di resa cromatica, per quel che ne so, è una misura empirica. Il valore 100 viene attribuito alla resa cromatica della luce diurna naturale, e di lì a scendere.
Più lo spettro di emissione di una sorgente è continuo, senza picchi o scalini (come lo spettro della luce diurna, quello delle torce flash o delle lampade alogene), e più la resa cromatica è elevata, indipendentemente dalla temperatura di colore, che se varia dolcemente, cioè senza picchi o discontinuità , viene ben corretta dal nostro occhio, e dal tipo di emulsione della pellicola.
Il valore 90 in effetti è bassino, e mi fa pensare a dei tubi con 5 o 6 fosfori (poi magari mi sbaglio). Quelli più economici ne utilizzano solo 3, e la conseguenza, sempre indipendentemente dalla temperatura colore, è la presenza di picchi molto accentuati a certe lunghezze d'onda, che in effetti con un termocolorimetro dotato di misura sull'asse verde/magenta e gli appositi filtri si possono correggere "abbastanza" bene.
La Osram, ad esempio, produce un tubo da 55 W 3.000 lumen a 5.400 K, quello a cui accennavo prima, credo con 9 fosfori (sono le sostanze che rivestono l'interno del tubo e che emettono la luce per fluorescenza) che arriva a 98 come indice di resa cromatica. E' quello che usano molti produttori di illuminatori per fotografia o video, e si puà trovare agevolmente in commercio, sui 15 euro, ai quali ne vanno aggiunti circa altrettanti per il ballast elettronico (in quanto deve lavorare ad alta frequenza sui 50 kHz) e pochi spiccioli per il portalampade apposito (ha un attacco 2G11)

Inviato: 22/1/2010 9:57
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Re: Quale sviluppo per carta b/n politenata si conserva più a lungo?

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facavek ha scritto:
quali sono gli sviluppo generici per carta politenata che possono conservarsi per 5-6 mesi senza grossi problemi?

Credo tutti, a patto di conservarli in assenza di aria.
Ho solo usato l'Hypam della Ilford e il Neutol dell'Agfa, e conservando la soluzione di lavoro parzialmente usata per 6 mesi non ho mai notato degradamenti. Per la conservazione utilizzo delle vecchie bottiglie del Neutol, quelle da 1,25 litri in plastica arancione molto resistente. Una volta introdotto lo sviluppo "avanzato", le schiaccio per far uscire tutta l'aria finché il liquido arriva a filo (sono molto elastiche e tra 0,7 e 1,25 litri funziona bene), e le chiudo col loro tappo, che ha una tenuta perfetta.
Per gli sviluppi pellicola, il Kodak TMax diluito e usato lo conservo agevolmente per 8-10 mesi con lo stesso sistema, mentre per i vari Ilford e il Nucleol fraziono subito in boccettine mono dose come dice anche Effelara.

Inviato: 22/1/2010 9:34
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Re: illuminazione: nuove lampade al neon potentissime

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Personalmente non userei quel tipo di lampade per scopi fotografici nemmeno se me le regalassero. Sono lampade per illuminazione stradale ottimizzate per il basso consumo, non certo per la qualità  della luce.
Oltre ad essere decisamente freddine (6.500 K) hanno infatti un indice di resa cromatica dichiarato “up to 82” che nella migliore delle ipotesi significa 82,5. Nel mondo delle fluorescenze è difficile trovare di peggio. Certo che per l’illuminazione stradale sono ottime, specie se confrontate con le comuni lampade a scarica a vapori di mercurio o di sodio. Pensa che per usi fotografici l’indice di resa cromatica dovrebbe essere almeno 95. Alcuni tubi, studiati ed ottimizzati per usi fotografici con l’utilizzo di molti fosfori, arrivano a 98, con una temperatura di colore di 5.400 K, perfettamente miscelabile con la luce diurna. L’efficienza luminosa è un po’ minore, 55 lumen/watt contro i 65 di queste, ma la qualità  della luce sta su un altro pianeta.

Inviato: 22/1/2010 9:21
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Re: Lo spazio architettonico secondo Franco Zampetti

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pamar5 ha scritto:

di fronte ad un lavoro fotografico non mi pongo come domanda (se non come ultima cosa) quale macchna ha usato l'autore: digitale a pellicola. reflex, MF, GF...quale lente, decentrabile, grandangolo, tele, quale marca quale software....ecc. Mi baso sulle sensazioni che mi comunica, sull'estetica, sul messaggio che trasmette, sulle finalità  e intenzioni dell'autore.....


Capisco, ed in buona parte condivido quello che dici; per cui vorrei specificare il perché del mio intervento di prima.

Se Franco ci avesse fatto vedere dei bei ritratti raccontandoci che li aveva ottenuti con un Planar 85 montato su una Canon, diaframmato a f/4 e con tempi lunghi, usando un treppiede Gitzo con testa a sfera, sfruttando la sola luce di un lume posato per terra, ecc. ecc. , li avrei valutati esteticamente secondo i miei gusti e non avrei fatto alcun commento di tipo tecnico.
Questo perché in vita mia ho visto molti ritratti belli (a mio gusto) fatti con una Pentax tenuta in mano, con una Nikon su treppiede, con un banco ottico su stativo, con un 300 mm, con un 28 mm, con un 85 mm a f/1,4, con lo stesso 85 mm a f/11, con luce di tutti i tipi, e chi più ne ha più ne metta.

Allo stesso modo, osservando le particolarissime foto che Franco ci ha fatto vedere, dico che mi piacciono non per la tecnica usata, ma per l’eleganza delle forme slanciate verso l’alto e delle simmetrie sottolineate da una sobria illuminazione diffusa. Ma allo stesso tempo mi rendo conto che tali immagini non si potevano ottenere tecnicamente in tanti modi, anzi sono convinto che la mancanza di una sola delle due cose che ho sottolineato (uso di grandangolo rettilineare e posizionamento micrometrico dell’apparecchio) ne avrebbe compromesso, a mio gusto, la qualità . Per cui ho sentito il bisogno, in questo particolare caso, di parlare della tecnica impiegata arrivando alle conclusioni che ho scritto nel precedente post.

Inviato: 13/1/2010 10:22
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Re: Lo spazio architettonico secondo Franco Zampetti

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Al di là  di una scelta oculata dei soggetti, basata su estetica, simmetria, illuminazione, credo che le tue foto siano frutto soprattutto di 2 importanti intuizioni.

La prima è quella di aver scelto un obiettivo grandangolare con proiezione rettilineare, e non un fish-eye come sarebbe venuto in mente di primo acchito a molti per ottenere immagini circolari con ampio angolo. Questa seconda scelta avrebbe semplificato enormemente le cose: nessun accocco in quanto le macchine si trovano già  in commercio, punto di ripresa più alto quindi molto più comodo, ecc. Per contro, la proiezione equidistante di un fish-eye avrebbe inesorabilmente compresso i bordi delle immagini privandole di quell’eleganza che ne deriva dalle forme slanciate.
Inoltre, la scelta di un grandangolare non retrofocus permessa dall’assenza dello specchio reflex (viva gli accrocchi) ha portato ad immagini con distorsioni praticamente assenti.

La seconda è quella di aver capito che in questo tipo di immagini anche il più piccolo errore nel posizionamento/centraggio della fotocamera rispetto al soggetto da fotografare porta ad un vistoso decadimento della qualità  finale. Ed un ulteriore merito va alla risoluzione di questi problemi mediante strumenti non propriamente fotografici, come livelle toriche e pendoli laser in ausilio a semplici basette con viti micrometriche, scelta nella quale sei stato sicuramente avvantaggiato dai tuoi studi e dal tuo mestiere di architetto. Questo dimostra, caso mai ce ne fosse bisogno, che solide basi tecniche a volte permettono di affrontare e risolvere problemi con metodi piuttosto semplici, senza ricorrere necessariamente all’aggeggio super specialistico inventato dal guru americano di turno.

In ultima analisi credo che le tue foto zenitali (che personalmente trovo molto belle anche se, come ho già  detto, non rappresentano una novità  assoluta) siano un classico esempio dove la tecnica fotografica conta tantissimo.
E dal punto di vista strettamente tecnico, credo non si potesse fare di meglio.

Inviato: 10/1/2010 10:09
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Re: Lo spazio architettonico secondo Franco Zampetti

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danipen ha scritto:
anzi gli riconosco tutto il merito di essere il primo ad averci pensato che, come dice marco, è cosa tutt'altro che semplice...

Che mi risulti, l'autore delle foto è stato il primo a registrare su pellicola 120 immagini prodotte da un obiettivo Heliar 12 mm f/5,6.

Rimanendo sul piano strettamente tecnico e spostandoci appena un po', ho visto decine di lavori ottenuti sfruttando l'intero cerchio immagine di un obiettivo con pellicole di formato superiore.

Se invece parliamo di visione estetica, cioè foto zenitali o col naso all'insù che dir si voglia, tanti anni fa ho visto un lavoro molto interessante (non ricordo dove, ma potrebbe essere sulle pagine di un vecchio Zoom) praticamente identico, ma ambientato in chiese e cattedrali.
L'autore, credo un italiano, posizionava una 8x10 con un grandangolare estremo girata all'insù nell'esatto punto dove durante i funerali viene posata la bara. Ricordo che le immagini, che in qualche modo avrebbero dovuto rappresentare "il punto di vista del defunto", erano molto belle e suggestive.

Quindi, a me pare, ben poco di nuovo... (cosa che non toglie nulla alle foto di quest'autore se non il merito di esser il primo ad averci pensato)

Inviato: 7/1/2010 9:53
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Re: Ottenere un sensore medio formato con Nikon DSLR

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cristiano ha scritto:
So cos'è la vignettatura,

Dall'ultimo post che hai scritto si direbbe proprio di no...

Inviato: 4/1/2010 19:50
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