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Ma perchè è così diffuso il backfocus?
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Da lombardia
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Stavo leggendo il test della Sony alpha 900 pubblicato sull'ultimo numero di Gennaio di PCPhoto (tra l'altro un test fatto molto bene e che mette finalmente ben in evidenza pregi e difetti di questa fotocamera, facendo soprattutto capire perchè costa tanto meno delle "vere" professionali, tipo EOS 1 Ds Mk III o NIkon D3x) e , tra le altre cose, viene segnalato un problema di backfocus dell'esemplare in prova con le focali corte (risolvibile tramite regolazione interna della macchina, con qualche limitazione).
Siccome non è la prima volta che sento parlare di questo problema, e non solo per la Sony, ma anzi soprattuto per le Canon ed anche per le Nikon, mi viene da chiedere come mai non ne avessi mai sentito perlare in epoca pre-digitale.
E' un problema che affligge solo le macchine digitali per un qualche motivo che mi sfugge o sono semplicemente andati a farsi benedire i controlli di qualità  e vengono commercializzati obbiettivi e corpi macchina assemblati alla sperindio?
Possibile che sia così difficile produrre un complesso macchina-obiettivo che focheggi dove e come si deve, specie considerando che stiamo parlando di apparecchi che costano comunque migliaia di euro?


Inviato: 24/1/2009 7:36
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Re: Ma perchè è così diffuso il backfocus?

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25/11/2005 15:01
Da Verona
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Non solo backfocus, ma anche frontfocus, naturalmente; e non sempre la stessa coppia macchina/obiettivo produce lo stesso risultato. C’è, a mio parere, una certa imprecisione intrinseca nel processo di focheggiatura. Se si fa una prima messa a fuoco e poi, senza spostare niente, se ne fa un’altra, si sente l’obiettivo ronzare ed aggiustarsi. E’, rischioso fare la messa a fuoco di fretta: è meglio ripetere l’operazione finché l’obiettivo non smette di friggere e di lampeggiare (soggetto permettendo, naturalmente). Avevo notato lo stesso problema anche sulle macchine a pellicola, talché ho continuato ad usare macchine a fuoco manuale, con dei bei vetroni smerigliati e lo stigmometro.
Il problema è molto più critico con il digitale – e cresce con l’aumentare della risoluzione dei sensori – perchè il digitale, nel caso di messa a fuoco perfetta, presenta dei contorni secchi, sui quali lo sharpening si aggrappa bene e dà  il meglio di sé stesso. La pellicola fornirà  magari lo stesso livello di dettaglio, sul piano “giuridico”, ma la struttura granulare provoca un frastagliamento dei contorni che limita l’effetto dello sharpening. Allo stesso modo un fotogramma digitale non perfettamente nitido non troverà  vantaggio dal processo di acutizzazione. Insomma, sempre a mio parere, il confronto alla fine si fa tra un digitale estremamente nitido, dove lo sharpening ha agito bene, un digitale sul quale lo sharpening non riesce a fare presa ed una immagine su pellicola dove lo sharpening enfatizza soprattutto la grana. Va notato anche che in epoca pre-digitale si guardava la pellicola in qualche modo, mentre adesso, a monitor, si riesce a contemplare il pelo nell’uovo. Basta poco, nel caso del digitale, perchè una leggera imprecisione della messa a fuoco comprometta l’efficace applicazione dello sharpening (ci sarà  mai un genio che troverà  una corrispondente parola italiana, senza ricorrere all’erronea perifrasi “maschera di contrasto”?) . Quindi, sempre secondo me, si verifica il paradosso che un “eventuale” affinamento della precisione della messa a fuoco trova paradossalmente ostacolo dell’aumento della risolvenza dei sensori. Puà darsi che, con il progredire dei processi produttivi, si riesca ad eliminare il problema; per ora, la funzione di taratura manuale, presente proprio sulle macchine che dovrebbero essere più precise, mi fa pensare che la perfezione non sia dietro l’angolo.
Umberto

Inviato: 24/1/2009 10:41
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