
Re: Gursky a Bologna |
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Il concetto è chiaro e ben noto, o si è dentro al mercato dell’ Arte o non si è nessuno anche se spesso questo mercato porta a quotazioni inspiegabili emerite porcherie e lascia fuori opere e autori che meriterebbero assai. Lo ha detto qualche anno fa anche un bravissimo e notissimo storico dell’arte oggi purtroppo scomparso che non cito perché le citazioni sono sempre pericolose. Il mondo dei fotoamatori è ricco di opere belle e significative che hanno un valore intrinseco sotto l’aspetto artistico ma non hanno valore materiale se non supportate da un gallerista di nome.
Con ciò è pur vero quello che dice Roberto Tomesani nel filmato, il mondo dei galleristi, dei critici, degli storici è quello che, quando un’opera entra nel mercato, garantisce l’autenticità dell’opera e la commerciabilità. Comunque, una volta innescato il meccanismo, la quotazione se ben alimentata cresce come la farina con il lievito, ciò non significa che quanto più cresce tanto più bravo è l’autore. E’ un meccanismo che prescinde da questo concetto, infatti non è concepibile che una foto odierna possa costare più di un quadro di un bravo autore del Rinascimento. Passo ad un esempio pratico. Al minuto 11.19” del filmato si vede una foto di Berengo Gardin che si intitola “Sottoportego della Malvasia” che riporto qui per mostrarla in modo più decente, poi una foto che ho fatto tanti anni fa e giuro che quando l’ho fatta non conoscevo quella di G. B. Gardin, per cui non mi sono ispirato a quella, ma l’intuizione era simile. Sono comunque due foto diverse e quella dell’autore, che adoro, se non tenessi famiglia l’avrei acquistata tranquillamente a quella quotazione che per il nostro fotografo è anche troppo bassa. La mia comunque non è faccia schifo e a me piace molto, ma non vale un ca..o perché non è sul mercato e io non sono nessuno. Le singole foto di Gianni sono sul mercato internazionale da non molto, ma lui ha una lunghissima storia, era già famoso negli anni ‘70 ed ha pubblicato 180 libri di sue fotografie (qualcuno dice 250). Se fosse stato supportato maggiormente sul mercato americano, ad esempio, oggi varrebbe almeno 10 volte di più, e secondo me è solo una questione di tempo. La quotazione non sempre dipende dalla storia e dal valore dell’autore, possono esserci autori arrivati da poco ma ben supportati le cui quotazioni superano di gran lunga quelle di fotografi come Gianni che hanno fatto la storia della fotografia. Allega: ![]() ![]() ![]() ![]()
Inviato: Oggi alle 12:50
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Re: Gursky a Bologna |
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Grazie Oscar per le tue osservazioni, come accennavo penso che il vederle dal vivo sia determinate, altrimenti non avrebbero nessuno scopo quelle dimensioni. Se mi capiterà di vedere le sue foto ad una mostra, cercherò di capire perché le sue quotazioni vanno sui milioni di dollari.
Inviato: Ieri alle 9:53
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Re: Gursky a Bologna |
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Grazie per la segnalazione Oscar, il link però non funziona, c'è comunque il filmato che ha linkato Plafoto.
Purtroppo ho un pregiudizio nel valutare, sono allergico alla fotografia in gigantografia, nel complesso, comunque, quelle che ho visto nel filmato non mi dicono nulla se non una notevole perfezione stilistica. Salvo il fatto che sono fatte per essere viste dal vivo. Ho pensato che per quelle dimensioni il problema non è tanto la stampa, quanto trovare il corniciaio. ![]()
Inviato: 2/6 9:01
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Quale identità italiana? |
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Oggi si parla di quella povera ragazza e quella povera creatura di 7 mesi che portava con sé, annientate da una malattia che si sta diffondendo sempre più anche nella società italiana, la violenza.
Mi chiedo se a nessuno viene il dubbio che quei valori a cui ci si appella quando si parla della identità della nostra cultura, stanno scomparendo e non si ripristinano con un decreto. Da piccolo chi ha la mia età non può non aver letto il libro Cuore, magari certi valori oggi possono essere assai sbiaditi, ma chi fra i bambini di oggi lo legge? Quale dei loro genitori lo ha letto? La nostra cultura (anche e soprattutto quella cattolica) ci ha insegnato il rispetto e la sacralità della vita umana, cosa ne rimane oggi a quei bambini che per svagarsi passano ore ad uccidere nemici nei videogiochi impugnando le armi più varie, staccando arti, spappolando cervelli, imbrattando muri e strade di sangue. Quelli un po’ più grandi guardano i film di Tarantino dove spappolamenti e sangue, violenza titanica, sono sparsi a iosa. Girando i canali in TV è impossibile non incrociare un film dove qualcuno ammazza qualcun altro. Di quale identità culturale italiana stiamo parlando quando il cinema, la TV, i videogiochi, i social, ci ci bombardano da decenni di violenza, edonismo e spazzatura. Non è più solo un danno per i bambini di adesso, è un danno e uno stravolgimento culturale che c’è già stato per i loro genitori. Per coloro che devono trasmettere una identità culturale ormai perduta, ai loro figli. Ma non c’è nessuno che dica basta con la cultura della violenza, con la cultura dell’edonismo fine a se stesso, con il disprezzo che definisce “buonismo” l’essere contro la violenza, il disprezzo e la sopraffazione? Non c’è nessuno che dica che non è “buonismo” avere empatia, dare aiuto come quei meravigliosi ragazzi e forze istituzionali nella calamità in Romagna, una aiuto che ispira anche una delle divinità indiane come Tara raffigurata con un piede in atto di alzarsi per soccorrere? Si cominciasse a vietare la violenza nei videogiochi e nel cinema. Lo si faccia trasmettendo in TV film francesi, italiani, indiani, cinesi ecc., di tanti bravissimi registi che non hanno fatto carriera sfruttando la facile presa sul pubblico della violenza nelle loro trame. Questo sarebbe un primo passo per recuperare le radici culturali di quegli italiani “brava gente” che ci sono e ci sono stati, (ma non erano quelli che hanno commesso atrocità in Africa nelle colonie e in Grecia durante la seconda guerra mondiale, a loro la violenza era già stata insegnata). Lo dico qui in un luogo dove il “Click” che ci piace non è quello di un grilletto ma quello di un otturatore della fotocamera, per cui credo di essere compreso.
Inviato: 1/6 22:48
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Re: Bosco in B&N |
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Ha un suo fascino, ce l’ha quel bosco nero che risveglia paure ancestrali di ciò che può nascondere uno spazio ignoto, o che non si palesa, che non può essere scrutato per rassicurarsi che non c’è nulla da temere. Ha anche una sua simbologia, fuori c’è la luce, dentro, l’ignoto.
Sarà che per me la Foresta Nera (Schwarzwald) in Germania ha sempre avuto un fascino particolare ed è (o era 45 anni fa) proprio come dice il suo nome, se è una giornata nuvolosa, dopo poche decine di metri al suo interno quasi si spegne la luce. Questa foto mi dice qualcosa del genere.
Inviato: 1/6 21:23
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Re: Voglia di ingranditore ? |
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Esatto, sottoscrivo in toto.
Inviato: 30/5 20:46
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Re: Voglia di ingranditore ? |
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Chissà come sono le supposte da quella parti (preferisco comperarle in Italia, memore di una vecchia barzelleta).
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Inviato: 30/5 12:45
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Medievale a chi ? |
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Medievale a chi ?
Gli antichi conoscevano bene quanto fossero preziose le vie d’acqua naturali o artificiali (fiumi e canali di scolo o di navigazione) e nel contempo quanto potesse essere distruttiva la forza dell’acqua non governata. Un esempio ci viene direttamente dagli Statuti di Treviso sotto la cui giurisdizione era anche il territorio di Mestre agli inizi del 1300. I villaggi (oggi quartieri di Mestre) che facevano parte del Comune si davano delle “Regole” (leggi locali tutte simili fra loro) che venivano depositate e ufficializzate a Treviso a cui dovevano attenersi gli abitanti di questi villaggi. Queste Regole riguardavano principalmente la cura e la manutenzione della viabilità (strade e ponti) e dei corsi d’acqua che percorrevano i territori abitati demandando a chi abitava nei loro pressi l’obbligo dei lavori da farsi. Per opere più impegnative ciò veniva appaltato a professionisti specializzati. Oggi non è raro che nel corso d’acqua qualcuno ci butti la lavatrice dismessa o un treno di pneumatici, come pure nelle immediate vicinanze (quando non sopra) ci faccia villette a schiera e un parcheggio in cemento. Ecco un esempio: Regula Faveri Die Jovis XX. Novembris. Antonius q.m Petri Mericus regula Faveri dicte plebis per se , et suo Comune comparuit coram Albertino Viviani de Albertino Notario, et juravit et inscriptis dedit infrascripta. In primis unam viam publicam qua incipit in regula Sancti Martini in Desio , et vadit per viam , et territorium Faveri , et estendit versus Mestre et confinat cum regula Carpenedi. Item unam viam publicam per qui itur de dicta regula Faveri ad teraleum et confinat juxta Ecclesiam Sancti Iuliani. Item unam viam publicam per quas itur de dicta villa Faveri ad campos et nemora ipsius regula versus mane. Item unam publicam , et antiquam quae appellatur ………...Mascherellus qua labitur per territorium regula Faveri , et finitur in flumen Desii , et per homines habitantes terram juxta ipsam publicam debeat cavari, et in conzo teneri dictam publicam in suo territorio. Et dixit quod Comune, et homines dicta re gula Faveri dicta via in conzo teneri debeat in suo territorio. Traduco: Regola di Favaro (inizi del XIV sec.) Il giorno 20 novembre Antonio di Pietro Meriga (capo villaggio) della Regola di Favaro, in rappresentanza della popolazione citata per la sua parte e del suo comune, comparve davanti al notaio Viviano di Albertino e giurò e presentò ciò che è infrascritto. Primariamente (riguarda) una pubblica strada che comincia a San Martino di Dese e percorre il territorio di Favaro, prosegue verso Mestre ed è vicina al villaggio di Carpenedo. Lo stesso per una pubblica strada per la quale si va dal citato villaggio di Favaro al terraglio e passa vicino alla chiesa di San Giuliano che è nei pressi. Lo stesso per una strada pubblica per la quale si va dal citato villaggio di Favaro ai campi e si mantiene diretta ai boschi di questo villaggio. Lo stesso per un pubblico e antico corso d’acqua che viene chiamato ..omissis...Mascherello che scorre per il territorio del villaggio di Favaro e sfocia nel fiume Dese, e per opera degli abitanti del territorio nei pressi di questo pubblico corso d’acqua, deve essere scavato (pulito il fondale) e tenuto in buono stato nel loro territorio il citato corso d’acqua. E disse (il Meriga) che gli abitanti del citato villaggio di Favaro devono tenere in buono stato la strada citata. Severissime erano le leggi nella Laguna di Venezia che non sto a riportare per questioni di spazio, cito solo un esempio. Oltre al fatto, che non si poteva coltivare a meno di una certa distanza dalle rive perché il terreno smosso con l’aratura poteva venir dilavato dalle piogge intasando il corso d’acqua, lungo le rive e sugli argini dovevano venir piantati dei tamerici, pianta il cui apparato radicale consolida gli argini, e tali piante non dovevano venir rimosse o danneggiate per nessun motivo. Nell’ aprile del 1360 un tal Lorenzo Tempesta di Chioggia viene multato al Lido di Venezia di 100 Soldi perché aveva preso 3-4 (dice lui) piccoli rami di tamericio per curarsi un male alla milza, le guardie invece contestano che erano sei su cui avrebbero dovuto comminare una multa di 100 soldi ciascuna, alla fine, tira e molla, si accordano per 40 in tutto. Multa salata se si pensa che nel 1300 a Venezia si poteva acquistare un cappone (di solito di un peso medio di 4 Kg) per 18 soldi. © Pino Alessi mag 2023
Inviato: 19/5 11:40
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Re: Fotocamera dello smartphone Xiaomi Redmi Note 10 Pro |
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Dopo qualche giorno di prove posso dirmi pienamente soddisfatto. Ho installato un file di terze parti che permette di gestire alcune funzioni della fotocamera, lo stesso che usavo già su un telefono Asus, l’importante è che il telefono usi un processore Snapdragon, magari non gestisce le fotocamere accessorie (in questo caso una per sfocatura sfondo, una con super grandangolare e una per macro) di cui a me non interessa niente e per quelle posso sempre usare la App originale. Con ciò ho potuto modificare un paio di parametri fondamentali, il denoiser e la saturazione perché, viste suoi telefonini, piacciono tanto le foto senza ombra di rumore e belle sature, però quando in una stampa la riduzione del rumore fa sembrare certi elementi di plastica e la saturazione è esagerata, non va bene e nella app originale c’è un po’ questo aspetto anche se abbastanza contenuto. La App in dotazione dà la possibilità di scattare anche in RAW e lì si può fare ciò che si vuole ma nel RAW ovviamente non c’è il processo HDR+ che viene applicato sul jpg. Volendo avere un file jpg con HDR+ già utilizzabile con certe caratteristiche modificabili prima dello scatto (come nelle fotocamere tradizionali di un certo livello) la strada è questa e ho ridotto il denoiser (nelle prove fatte il rumore risulta comunque quasi assente) e la saturazione, con i risultati che posto qui (ovviamente, come per i link già postati, bisogna guardare sullo schermo un computer).
La foto originale con l’ottica principale sarebbe da 12 Mp (3000 x 4000 pixel) l’ho ridotta a 1400 x 1050 per postarla senza troppa compressione jpg, poi due crop dall’originale al 100% di ingrandimento. Non sono un patito della definizione, anzi, è giusto per sapere se potrebbe reggere una stampa in A3+ e ne sono convintissimo, pure con qualche ritaglio se serve. Lo sfocato dell’ ottica principale provato in altri scatti è bello. Ovviamente bisogna considerare che i crop sono la visualizzazione di una immagine a 72 dpi che sullo schermo corrisponde ad una immagine di 140 x 105 cm, una stampa la si fa ad una grandezza di circa 1/3 quindi nella stampa non si vedranno le cose che si vedono a schermo a 140 x 105 cm e l'aspetto sarà meno sfaldato. Comunque i mattoni appaiono veritieri (non simil-plastica) e l'erba ben definita senza certe zone che a volte il denoiser fa apparire impastate. Purtroppo in questo smartphone l’ottica non è stabilizzata, questo può essere un problema per l’HDR+ che utilizza più scatti assemblandoli ma ho visto che basta un po’ di mano ferma, in caso di foto con poca luce basta disabilitarlo. Per concludere ho assolto la necessità di avere una versione Android aggiornata (si è aggiornato alla MIUI 14, versione Android 13 e probabilmente si aggiornerà alla 14), un ottimo telefono con ottime caratteristiche e un’ ottica a 6 lenti rispettabilissima per 180 €. Allega: ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]()
Inviato: 6/5 20:04
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Re: Commercio e uso di schiavi nella Venezia antica |
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C'è anche un altro aspetto, il lavoro visto come partecipazione collettiva al processo produttivo. Una visione che imprenditori illuminati come Olivetti e in tempi recenti Del Vecchio di Luxottica hanno perseguito amando i propri lavoratori, ricambiati. La precarizzazione, provvisorietà, stipendi troppo bassi, stanno distruggendo questo aspetto fondamentale per la soddisfazione e il senso di appartenenza ai successi dell'azienda. La distruzione della cultura del lavoro sommata a certi aspetti può portare il lavoro subordinato a qualcosa che può assomigliare ad una condizione subita.
Inviato: 4/5 21:26
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Commercio e uso di schiavi nella Venezia antica |
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Durante le mie modeste ricerche sulle antiche opere idrauliche di preservazione della laguna a Lido di Venezia, mi sono imbattuto in una richiesta particolare da parte del governo della Repubblica. Nel 1388, come riportato dallo storico del XIX sec B. Cecchetti, si stavano eseguendo lavori con l’impiego di maestranze tedesche quando, considerando che si spendeva molto in stipendi (il “molto” è estremamente relativo perché il governo era sempre a dir poco “parsimonioso” su tutto), si fece richiesta ai rappresentanti del governo a Negroponte, che appena fossero stati catturati una sessantina di turchi, giovani e robusti, venissero inviati celermente a Venezia dopo essere stati marchiati in fronte e sulle guance con un liquido caustico. Si configuravano in maniera evidente come schiavi e mi sono proposto di tornare sull’argomento.
In effetti l’utilizzo di schiavi a Venezia (e non solo) era prassi del tutto normale. Fino al XVI secolo una delle fonti di guadagno di privati e indirettamente del governo (che percepiva una tassa sulle transazioni mediamente di 5 ducati a schiavo), era la tratta, il commercio in città e la vendita all’estero degli stessi. Il numero di quelli venduti all’estero era considerevole, da documenti del XV secolo risulta che erano mediamente diecimila all’anno, quindi non furono soltanto il commercio del sale e delle spezie che fecero arricchire i veneziani, questa evidenza fu portata alla luce in età moderna soltanto verso la metà del secolo diciannovesimo. Al prezzo medio di 50 ducati d’oro (puro) erano circa 100 milioni di Euro alla quotazione attuale dell’oro solo di vendite all’estero. L’utilizzo di schiavi non desta meraviglia per i periodi più arcaici della storia di Venezia, perché la prassi era consolidata nelle genti che si installarono in laguna provenienti dalle città limitrofe dell’impero romano (Aquileia, Eraclea, Padova, Altino ecc.), ciò che è meno noto è la persistenza nei circa mille anni successivi (anche preti e conventi di frati e suore ne erano proprietari). Erano provenienti soprattutto dall’Asia centrale, in gran parte tartari della mongolia o da popolazioni sottoposte alla dominazione mongola, erano anche russi, e in proporzione minore turchi, saraceni, etiopi. Valevano parecchio, mediamente uno schiavo (o schiava) senza difetti e in buona salute valeva sui 50 ducati d’oro, dagli 11 ai 25 anni avevano le quotazioni maggiori. Quando venivano battezzati si dava loro un nome occidentale, quelli originari ad esempio erano: Nastasia di 17 anni e Rupina russe, Tartare: Uliana di 18 anni, Clocaton di 16, Orda, Sara, Noalbi, Aches, Jangi Lonach, Aselbi, Athelon, ecc., Circasse: Zita di 25 anni, Uciam, Zebeldi, Rasgoza, Salmices, Eldiben, Ilasco, Turche: Assia, Hahuha, Barcha, Artir, ecc. Bosniache: Quala, Draga, Radaza, Vochosava, Rada, Dragoslava ecc. ragazzini, Balaban, Zangri, Caron, Bexem, Charazura. Li cito in memoria della loro sventura. Di loro probabilmente sono rimaste tracce nella popolazione veneziana perché spesso le femmine rimanevano gravide dei proprietari. La schiava venduta doveva piacere al padrone e si poteva (per accordo privato, non per legge che non c’era) “provarla” e restituirla dopo un certo tempo purché integra (...munda ab omni infirmitate intrinseca et estrinseca… oppure ….integra ominibus suis membris tam occultis quam manifestis…), come recita un contratto fra due nobili riguardo ad una schiava turca, ma la necessità di precisare l’integrità in caso di restituzione fa supporre che una volta definitivamente proprietario, il padrone ne faceva ciò che voleva. Oppure come risulta da un altro, un prete, certo Pietro Chozato, il 26 giugno 1381 vende ad un prete della parrocchia di San Raffaele, Pietro Pensaben, una schiava (ribattezzata Marta) di 28 anni ma questo la restituisce il giorno dopo. Potevano venir scambiate con beni qualsiasi o anche affittate (nel 1397 un Nicolò Foscolo affitta per un anno la schiava Cita a Filippo Bon per 6 ducati d’oro). Per distinguerli prendevano il cognome della famiglia proprietaria, potevano anche imparare un mestiere ma in questo caso non potevano esser ceduti o venduti se non con l’autorizzazione del console della “mariegola” (corporazione) del mestiere e comunque (se avevano imparato un mestiere) mai venduti all’estero. Ciò che guadagnavano era del padrone ma ad esempio Marco Polo nel 1324 dichiara nel testamento che libera il suo e gli lascia tutto ciò che con il suo lavoro aveva guadagnato. La documentazione al riguardo consiste prevalentemente negli atti notarili di compravendita o di rinuncia alla proprietà obbligatori, o di lasciti testamentari nei quali spesso si dichiaravano liberi dopo il decesso del proprietario, anzi qualcuno lasciava per loro piccole cifre, come nel caso di un certo Pietro Enzio che nel 1123 li liberava “per la salvezza della propria anima” (e ciò è indicativo che qualche scrupolo morale ci fosse) o di Marco Barbetta che nel 1208 li liberava con 5 Lire (di piccoli) ciascuno e i vestiti che indossavano, nel 1515 un Antonio F. Giustiniani lascia alla schiava Maria anche una pensione annua di sei ducati. Questi ed altri indizi lasciano ipotizzare che gli aspetti della schiavitù a Venezia non fossero truci come presso altre realtà anche perché in genere le loro funzioni erano strettamente legate alla convivenza con la famiglia, ma non devono ingannare sulla sostanza della cosa e sul buon cuore dei proprietari come nel caso del nobile Nicolò Morosini condannato nel 1439 ad una multa di 200 Lire (che per quella casata erano niente) perché come capitano di una galea in viaggio verso Tana (oggi Taman nella baia del mar d’Azov) durante uno scalo raccolse a bordo un cristiano di nome Stefano di Posaga che era schiavo degli “infedeli” fuggito a nuoto. Il Morosini lo tenne a suo servizio ma, arrivato a Venezia, invece di liberarlo, lo fece lavorare nei suoi possedimenti nel Padovano. Dopo 4 anni lo portò a Venezia dicendo di volergli regalare dei vestiti che aveva in casa e invece lo vendette ad un certo Benedetto Arduino, padrone di nave, che lo rivendette a Siracusa dove in qualche modo riuscì a rivolgersi ai magistrati che (caso raro) lo liberarono e gli resero giustizia (più probabilmente avevano qualche rivalità con i Morosini). Gli atti notarili al riguardo di compravendite diventano scarsi verso la metà del XVI secolo, indice che lo schiavismo andò scemando da quel periodo almeno nella sua forma specifica. Per fortuna ci siamo “civilizzati” ma a guardar bene non troppo, se si pensa che uno schiavo non aveva stipendio ma comunque vitto e alloggio assicurati perché doveva stare in salute e in genere donne e uomini si vestivano con gli abiti dismessi (che in famiglie benestanti erano di pregio), oggi siamo arrivati a stipendi che a volte vanno dai 400 ai 600 euro al mese, totalmente insufficienti per campare. @ Pino Alessi nov 2022 / mag 2023.
Inviato: 1/5 19:43
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Re: Ma gli Olandesi, ce l’hanno con noi? |
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E non solo loro, ultimamente la situazione è un po’ migliorata, ma tante volte mi sono trovato in mano istruzioni in cui era più facile che ci fosse l’albanese piuttosto che l’italiano.
E’ l’amara reltà, in effetti non è che si siamo fatti un granchè di reputazione, sotto molti aspetti. A volte ci sono venditori nei noti siti di e-comerce che spediscono pure in Ruanda-Urundi (anche se non c’è più) ma specificano che non spediscono in Italia. Ho conosciuto una che quando fecero la legge che imponeva la facoltà di restituire un oggetto acquistato, mi diceva che al sabato con il marito andava in qualche centro commerciale, acquistava qualcosa, e dopo qualche giorno lo restituiva, giusto per svagarsi nel fine settimana e provare qualche novità. Una “Italietta” di cui non c’è da essere fieri e la faccenda delle istruzioni per l’uso ne è un segno.
Inviato: 1/5 9:39
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Fotocamera dello smartphone Xiaomi Redmi Note 10 Pro |
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Non ho mai disprezzato l’uso del telefonino per scattare una foto, soprattutto dal 2014 quando ho preso il primo allo scopo, nato soprattutto per il comparto fotografico, un Nokia Lumia 830 con ottica Zeiss a 6 lenti stabilizzata e sensore da 10 Mp. Giudico meravigliosa la possibilità di avere sempre con sé uno strumento in grado di scattare una foto in qualsiasi momento si presenti l’occasione (per il tipo di fotografia che faccio) e se mi dà degli scatti utilizzabili per una stampa decente, tanto meglio.
Oggi i produttori hanno capito che ci sono anche fotoamatori che non lo usano, come la maggior parte delle persone, per i selfie ma come vera e propria fotocamera alternativa e infatti oltre a Zeiss oggi troviamo smartphone che montano ottiche Leitz e altri con fotocamera Hasselblad. Riguardo alla qualità delle ottiche non c’è da meravigliarsi anche se le lenti sono piccolissime, basta pensare alle lenti di un microscopio, per chi ha avuto modo di usarlo, che con una apertura di un paio di millimetri possono discriminare gli elementi di un globulo bianco o la forma dei batteri di una coltura. Giorni fa ho messo un post riguardo alla ricerca di una fotocamerina con HDR+ (purtroppo credo che non ce ne siano) in cui dicevo che ho necessità di cambiare il telefono con uno che avesse Android più recente con una discreta fotocamera e prezzo contenuto. L’ho trovato, è lo Xiaomi Redmi Note 10 Pro, preso perché uscito in marzo 2021 a più di 300 €, oggi pagato 180 € perché “datato”, ma si aggiorna ad Android 13, sensore Samsung da 108 Mp, uno più piccolo per foto macro da 5 e un super grandangolare da 8. Sensore principale da 1/1,52” (abbastanza grande in questo settore), Pixel da 0,7 Micrometri (impressionante) separati fra loro con tecnologia Fuji, ottica a 6 lenti (purtroppo non stabilizzata per la fascia di prezzo e questo penalizza le foto con luce scarsa, altro dato negativo sono sicuramente le sue dimensioni di 6.7 pollici). Pensavo che i 108 Mp fossero una bufala, invece ci sono proprio, solo che si usa il “pixel binning” che li unisce nello scatto a gruppi di 9 (3x3) in quanto un solo pixel raccoglierebbe troppa poca luce. Il sensore produrrebbe una foto da 12000 x 9000 pixel, dopo il processo una da 12 Mp. Devo vedere se lo scatto in RAW li restituisce nel totale. Mi arriva oggi e comincerò a testarlo, nel frattempo chi vuole farsi un’idea della fotocamera principale e della macro impressionate può vedere qui: queste si possono ingrandire altre 2 volte cliccando (lasciare il tempo che la foto si trasferisca completamente), non c’è traccia di aberrazione cromatica e di distorsione ma per i miei gusti sono anche troppo definite e troverò il modo di ridurre la nitidezza. https://www.flickr.com/photos/fukapon/with/52768369410/ Queste con l’impressionante sezione Macro: https://500px.com/search?q=redmi%20not ... ype=photos&sort=relevance Altre cercando su Flikr “gruppi” Xiaomi Redmi Note 10 Pro.
Inviato: 28/4 12:01
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Esiste una fotocamera con l'HDR+ degli Smartphone ? |
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E’ quasi l’ora di cambiare lo smartphone, a malincuore perché funziona ancora benissimo e ha un ottimo obiettivo a 6 lenti stabilizzato della fotocamera, solo che, pur non essendo una versione antidiluviana, non si aggiorna più Android, ed è una questione di sicurezza.
Le ultime versioni, già dalla 12 (siamo alla 13) cominciano ad usare l’AI (intelligenza artificiale) per alcune funzioni e già questo mi mette in agitazione (segno evidente di vecchiaia), ma soprattutto vorrei un comparto fotografico all’altezza del telefono che ho già. Il problema è che per avere un’ottica stabilizzata e con la qualità del mio si va su fasce di prezzo dai 900 € in su, inoltre tutti i modelli ti danno 2-3 ottiche con focali e sensori diversi che servono soprattutto a fare pixel binning sul tele e combinare le riprese da due focali contemporaneamente per simulate lo sfocato ottico il tutto con un massiccio intervento di AI che decide chi e cosa è il soggetto e cosa deve sfocare. Ciò che è positivo in questi modelli di “fascia alta” è che hanno sistemi e potenti software di calibrazione del colore e una combinazione impercettibile rapidissima di scatti in sequenza che assemblati dal software danno una gamma dinamica (si chiama HDR+ che è diverso dal vecchi HDR) e una definizione altrimenti impensabili (gamma dinamica difficilmente raggiungibile anche da una normale fotocamera). Per i favolosi telefoni Google Pixel nati per la fotografia preferirei un vecchio modello con una sola ottica e niente AI ma non ci siamo con gli aggiornamenti Android. Considerando che chi è il soggetto della foto voglio deciderlo io, dello sfocato artificiale, della calibrazione del colore ultraprecisa, specie sugli incarnati, non mi interessa niente (anche perché faccio quasi tutto in bianco e nero) e che non ho nessuna intenzione di spendere da 1000 € in su per un telefono, mi sto chiedendo se qualcuno sa di una fotocamera tascabile che stia entro i 500 € che abbia la funzione HDR+ (che a mano libera implica un’ottica stabilizzata ma anche un processore veloce per l'assemblaggio in funzione di gamma dinamica e definizione) che si trova oggi nei citati smartphone. Risolvo il problema con un telefono da 70 € per telefonare e una macchinina da tenere in tasca perché l’occasione di una bella (per me) foto di strada si presenta sempre all’improvviso e spesso quando non ho la reflex appresso. Metto come esempio di HDR+ questa foto scattata con il “vecchio” telefono qualche minuto prima di un temporale. La qualità dell’ottica e l’HDR+ mi hanno permesso di farne una stampa in A3+ ottima.
Inviato: 19/4 19:46
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Re: Il Futuro già presente |
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Citazione:
Si Orso, c'è da riflettere, in questo caso però la giuria era di bocca buona, come si fa a premiare una foto che presenta questi artefatti: l'occhio sembra quello di un pugile suonato, la mano è un artiglio informe da zombie. Io non ho mai partecipato e mai parteciperò ad un concorso, primo perchè così posso dirmi che se partecipavo vincevo ![]()
Inviato: 19/4 10:04
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Re: La Sensitometria secondo Kodak |
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Sono daccordo Luciano, come dice un antico detto veneziano:
"un alto e un basso fa un gualivo" (un alto e un basso si livellano) adesso la chiamano "dialettica" che ha sempre una sua utilità.
Inviato: 15/4 9:16
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Re: La Sensitometria secondo Kodak |
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Grazie Luciano, l'argomento è sicuramente interessante e affascinante ma bisogna guardare all’atto pratico, cioè è impossibile per chi non fa lo sviluppatore e stampatore di professione, aver accumulato una tale pratica (ma anche e soprattutto aver avuto la scuola di mestiere di un professionista con cui aver fatto la pratica) da destreggiarsi con le variabili messe in campo. Voglio dire che tutto ciò serve se si lavora sui negativi altrui a cui bisogna, dopo averli analizzati magari anche con apposita strumentazione (Es. Densitometro) applicare ciò che la teoria e la pratica suggeriscono per lo sviluppo e successiva stampa (ciò che fanno suppongo, i laboratori per l'allestimento di una mostra).
Se invece l’argomento riguarda i propri negativi e la propria stampa, la strada obbligata è usare sempre lo stesso negativo (al massimo di due sensibilità, 100 e 500 ASA) e lo stesso sviluppo con i tempi ottimali di sviluppo trovati dopo un po’ di pratica. Una misura della luce incidente con un buon esposimetro, (in mancanza, in modalità riflettente su una superficie che si avvicini al grigio medio) e uno sviluppo standardizzato sono tutto ciò che serve per un buon risultato. Se invece di stampare con ingranditore si digitalizza, ho trovato ad esempio che i migliori risultati li avevo con negativi leggeri ottenuti riducendo il tempo di sviluppo. Per gli scatti digitali, scordarsi la regola che andava di moda agli inizi dell’era digitale, quando a causa della tendenza dei sensori al rumore nelle zone scure si sovraesponeva leggermente (perdendo le alte luci), io faccio il contrario, sottoespongo, per dire che ciascuno deve adattare il proprio modo di lavorare in base agli strumenti che usa. Se poi si stampa in digitale, la ridotta gamma dinamica delle carte analogiche (tanto più ridotta quanto minor argento rispetto a 70-100 anni fa contengono le emulsioni), è del tutto superata perché la gamma dinamica della stampa a inchiostri è N volte superiore.
Inviato: 14/4 8:41
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Re: Mi presento |
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Ciao,
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Inviato: 8/4 11:17
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Re: Una lezione di fotografia |
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Citazione:
Non avevo capito la domanda, ho pensato che si dovesse vedere tutto il film per cogliere questa cosa. Incongruenze ce ne sono almeno un paio: - all'inizio guardando le foto del giorno 9/14/78 sopra è fatta con un 24 mm circa, sotto con un 28 mm circa. - più avanti quando il regista ne mostra alcune ingrandite c'è un palo a sinistra che a maggior ragione doveva comparire nelle foto scattate con il grandangolare e invece non c'è. Dirò di più, quelle foto non sono state scattate con un obiettivo Canon e basta perchè di nitido non c'è niente, o sono state stampate con una ciofeca. Le prime sono affette da un flare mostruoso e tanto sfaldate che sembrano fatte con una di quelle macchinette di cartone usa e getta degli anni 60-70, o con un obiettivo o un filtro spalmati di vasellina per togliere nitidezza. Il tutto comunque è funzionale al concentrarsi sulla scena più che al bello estetico di una bella foto.
Inviato: 1/4 22:08
Modificato da Pino su 1/4/2023 22:37:08
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Re: Una lezione di fotografia |
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Purtroppo il film non l'ho mai visto, devo procurarmelo perché mi incuriosisce molto.
Inviato: 1/4 19:31
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