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1 Utenti anonimi
Una festa e un bellissimo gioco nel 1214 |
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23/6/2022 9:20 Messaggi:
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De ludo quondam facto apud Tarvisium (Su un certo gioco fatto a Treviso).
Nel 1214, in un periodo di pace e di prosperità portate dallo stabilizzarsi dei nuovi assetti di governo nelle città del Nord che caratterizzava la cosiddetta Italia dei Comuni, la comunità di Treviso organizzò una gran festa con un gioco per cui si costruì in una piazza un castello di legno in miniatura. …..In città venne organizzato un quartiere per una festa e divertimento alla quale vennero invitati diversi cavalieri e fanti padovani e dodici dame fra le più nobili e belle e più adatte ai giochi che in quel momento si trovassero a Padova con le loro damigelle e servitrici da mettere in quel castello affinché lo difendessero senza l’aiuto di alcun uomo. Il castello venne fornito inoltre di tavoli per le munizioni forniti di queste dappertutto, scalette e baldacchini e ornato di pelli preziose, panni intessuti di oro, altri tinti di porpora, veli scarlatti e velluti. Che dire delle corone d’oro tempestate di crisoliti e giacinti, topazi e smeraldi, piropi e margherite e di ogni genere di ornamento con cui le teste delle donne erano protette (invece dell’elmo) dall’assalto dei combattenti ? Anche lo stesso castello che doveva venir espugnato venne assaltato e difeso con armi e strumenti di questo genere: mele, datteri, noci moscate, tortine, pere, mele cotogne, rose, gigli, viole, come pure ampolle (che venivano usate al posto dell’olio e pece bollenti dalle assediate) di balsamo, acqua di rose, ambra, canfora, cardamomo, cumino, garofano (molte di queste essenze erano costosissime) anzi con tutti i tipi di fiori o specie qualunque sia il loro odore o splendore. Anche da Venezia intervennero a questo gioco molti nobiluomini e molte nobildonne (queste sicuramente mandate nel castello con le altre perché a quei tempi non avrebbero potuto rimanere nella calca con gli uomini). Questi si presentarono per l’onore della propria parte con un prezioso vessillo di San Marco e combatterono deliziosamente e con giudizio ma a volte da buoni principi nascono molte cose spiacevoli. Mentre i veneziani gareggiavano con i padovani per entrare per primi attraverso la porta del castello già qui nasceva una discordia, come se non bastasse, purtroppo un idiota veneziano (Venetus quidam non sapiens nel testo originale) che reggeva il vessillo insultava i padovani con una espressione cupa e incazzata, quando i padovani se ne accorsero afferrarono con violenza la bandiera di San Marco e ne strapparono un pezzo. I veneziani la presero malissimo, intervennero subito i responsabili della sicurezza per ordine di un certo Paolo di Sarmeola, persona equilibrata e rispettata che in quell’epoca era comandante della milizia a Padova e i contendenti divisi e mandati a casa loro (un po’ come certe tifoserie odierne). Questa faccenda non passò liscia perché l’anno seguente i due eserciti Padovani e Veneziani (per altre vicende ma già si stavano reciprocamente odiosi) si scontrarono in località La Bebe (nei pressi della Laguna fra Padova e Venezia) dove i padovani ebbero la peggio. Un commento alla storia: si tratta di una cronaca da parte di un contemporaneo, Rolandino da Padova nato nel 1220, allora quattordicenne, che diventò un personaggio di un certo rilievo nella sua città, nei ranghi dell’amministrazione del Comune di Padova, notaio fin da giovanissimo, figlio di un notaio che aveva già iniziato a scrivere una cronaca di Treviso che lasciò da proseguire e completare al figlio. La ricchezza dei dettagli fa pensare che il padre (che probabilmente si portò anche il figlio alla festa) abbia assistito in prima persona. Il periodo doveva essere fra settembre e ottobre, quello della raccolta delle mele cotogne usate nello scontro. Un’altra considerazione è che lo spirito della festa era chiaro, unire in amicizia le città limitrofe da parte di Treviso. Sette secoli e mezzo dopo, qualcuno dirà: “mettete dei fiori nei vostri cannoni” come esortazione a cercare la Pace (a proposito). @ Pino Alessi marzo 2023
Inviato: 29/3/2023 20:21
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https://pinoalessifotoven.weebly.com/ | ||
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Re: Una festa e un bellissimo gioco nel 1214 |
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Ho riesumato questo post per coloro che come me sono attratti dal fascino delle vicende, usi, costumi, personaggi, del periodo medievale.
(Riguardo a ciò che ho pubblicato nel 2023 credo si possa identificare il luogo in cui si svolse il gioco con Asolo in provincia di Treviso). Aggiungo un novo argomento: Salimbene de Adami (1221-1288, detto Salimbene da Parma), colto frate Francescano appartenente ad una importante famiglia parmense scrisse una celebre cronaca dei suoi tempi, preziosa perché conosceva bene la vita pratica della gente normale, dei religiosi, e personalmente una miriade di personaggi notabili dell’epoca dalle sue zone fino alla Francia dove aveva studiato e soggiornato. Leggendo delle tante cose del suo tempo di cui racconta, mi sono imbattuto in un episodio che riporto qui. Si tratta di un duello fra Re Carlo I d’Angiò e un cavaliere noto in Campania per essere praticamente invincibile nei tornei. Il breve racconto ci dice anche qui come si svolgeva uno scontro fra due cavalieri. ...Sentito di questo cavaliere, re Carlo, già vincitore di vari scontri, che non perdeva occasione per cimentarsi nelle sue capacità militari e nel maneggiare le armi per farsi una fama, incaricò suo figlio di far sapere al cavaliere che c’era un nuovo sfidante, nonostante le preghiere del figlio che cercava di dissuaderlo dicendo che era uno fortissimo, grande e grosso ed esperto di combattimenti. Non ci fu verso, il padre decise la data del combattimento che si svolse nel giorno fissato. (Metto il testo originale perché è la emozionante voce diretta di uno che ci sta parlando dal 1260 circa ma da qui traduco io perché il traduttore della edizione italiana, Cantarelli 1857 pag 162, che ho, ha preso un paio di svarioni): [...In quo cum quilibet ex parte sua paratus staret ad pugnam, post tertium sonitum tube ceperunt discurrere et pariter sunt congressi. Et ita fortiter, quod mirati sunt universi, nec tamen de dextrarii ceciderunt, nec motus est aliquis de sella dextrarii sui. Percussit tamen unus alium in facie ita valide, quod lancea utriusque totaliter est confracta a cuspide usque ad manum militis utriusque. Voluit postea rex Karolux cum clava pugnare, et de voluntate sua sustinuit primum ictum. Miles vero de Campania ita insiluit super eum, sicut nisus super aviculam vel sicut accipiter insilit in anatem. Et cum ambabus manibus tenens clavam ita fortiter super caput eius percussit, quod, si solidum ictum dedisset, nulli dubium quod mortuus cecidisset. Descendit tamen ictus a capite per humerum super costas eius. Et super sellam equi habuit firmum ictum ita validum, quod equus genuflexit et Karolus totus alienatus duas habuit costas fractas. ...nel quale (giorno prefissato) stando ciascuno pronto allo scontro, dopo il terzo squillo di tromba cominciarono entrambi a corrersi incontro e ciascuno percosse l’altro così violentemente che tutti ne furono meravigliati, né tuttavia ciascuno cadde dal suo destriero né fu sbalzato dalla sella del suo cavallo. Nondimeno ciascuno aveva colpito l’altro sulla persona talmente forte che la lancia rimase totalmente frantumata dalla punta alla impugnatura di entrambi. Successivamente Re Carlo volle combattere con la clava e di sua volontà volle essere il primo a sostenere il colpo dell’altro. In verità il cavaliere campano si scagliò su di lui come un nibbio su un uccellino, ovvero come uno sparviero su un’anitra e, tenendo la clava con due mani, lo percosse sulla testa talmente forte che se il colpo lo avesse preso in pieno, senza dubbio sarebbe caduto morto. Invece il colpo scivolò dalla testa all’omero sopra il suo costato e sopra la sella del cavallo il quale ricevette un colpo talmente forte che piegò le ginocchia e Carlo, totalmente rintronato, ebbe due costole rotte…] La tenzone finì in maniera quasi comica perché quando il figlio riaccompagnò il padre nella sua tenda e gli altri cavalieri gli tolsero l’armatura, videro meravigliati che era il Re, il quale riavutosi dallo stordimento chiese al figlio se il cavaliere lo stava ancora aspettando in campo perché era il suo turno di dargli una “mazzoccata”, (quia volebat probare ipsum cum clava percutere sua vice) in realtà questi, saputo che aveva massacrato il Re si era dato alla fuga (giustamente, e rimase nascosto per un sacco di tempo nelle Marche) e il figlio per calmare i bollenti spiriti del padre gli disse che era meglio che se ne stesse buono e calmo perché aveva due costole rotte.
Inviato: 25/9 19:25
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